Gli effetti del coronavirus su un mercato già malato nella lettura di Bruno Cereghetti
L'esperto di sanità e socialità punta il dito contro «le assicurazioni sociali e private che si spalleggiano. Meglio allora il reddito di cittadinanza»
LUGANO - È passato un anno da quando Bruno Cereghetti, esperto di sanità e socialità, ha scagliato il sasso contro il “superpotere” dei periti incaricati dalla stessa Assicurazione per l’invalidità. Colpevoli, a suo dire, di fare «perizie al 100% contro gli assicurati».
Dodici mesi dopo com’è, gli chiediamo, la situazione?
«Nihil sub sole novi… Nulla è cambiato».
Mutato, però, drammaticamente è il contesto economico. Cosa significherà per chi già annaspava?
«Le conseguenze dirette del coronavirus sull’iter di chi fa domanda d’invalidità sono zero. Del resto è ciò che accade anche per chi resta senza occupazione. Ci troviamo in una situazione di tensione assoluta di mercato, eppure la disoccupazione obbliga comunque a cercare lavoro quando il contesto sappiamo bene quale è».
Per chi invece è confrontato con problemi di salute?
«L’impostazione resta quella di prima. Quando una persona è ritenuta adatta a un tipo di lavoro in attività adeguata, quindi leggera, s’arrangiasse dal profilo della legge svizzera a trovarlo. Perché le contingenze esterne non sono fattori che hanno influenza sull’AI. È la legge, non è nemmeno colpa dei periti...».
Parliamo allora delle responsabilità?
«A livello parlamentare, nessuno, ma davvero nessuno, sinistra classica compresa, solleva questo tema. Di modo che esiste sempre questo concetto teorico del mercato del lavoro, unito all’obbligo di ridurre il danno adeguandosi a una professione anche meno retribuita. Per cui la persona che viene giudicata inabile a fare la professione di prima, comunque può essere, e sovente lo è, giudicata abile nella misura del 100% o quasi a trovarsi un lavoro adeguato».
Con quali conseguenze?
«Sentivo giorni fa una studiosa parlare di una futura recrudescenza dei casi d'invalidità. Beh, forse ciò avverrà per le richieste, ma l’esito non cambierà di una virgola. Piuttosto prevedo che aumenterà il tasso delle persone che finiscono in assistenza. Perché è la legge, purtroppo, a dire che la congiuntura non influenza il settore dell’invalidità. Chi metterà in discussione questa impostazione legislativa?».
Secondo lei?
«Apprezzo la proposta del Movimento per il socialismo quando, di fronte a un sistema che non funziona, propone l’introduzione del reddito di cittadinanza che sottrae l’individuo al passaggio attraverso le varie filiere».
Un reddito slegato dal lavoro è la soluzione?
«Non ne sono concettualmente un fan, perché so che contiene molti elementi non necessariamente positivi. Ma piuttosto che assistere all’attuale spalleggiarsi tra le varie assicurazioni e difendere un sistema, come l’attuale, fondato oltretutto enormi spese amministrative».
Varie assicurazioni in che senso?
«La mia critica tocca anche le assicurazioni d’indennità giornaliera perdita di guadagno che, salvo casi gravissimi, non pagano più per i 720 giorni interi. Dopo sei mesi iniziano a rivedere il caso e dopo otto troveranno il mondo d'indirizzare l’assicurato verso la classica professione facile, che non esiste. Con la conseguenza che le persone finiscono in assistenza a frotte».
Torniamo ai politici. Perché, secondo lei, sono così lontani, così insensibili al tema?
«La mia lettura è che la classe politica attuale non conosce più il concetto di povertà. Perché non l’ha mai vissuta. Magari, con il coronavirus qualcosa cambierà. Anche se chi tocca la miseria non sarà poi in condizione di farsi eleggere».