I primi dodicenni sono stati vaccinati anche in Ticino. Ma serve farlo? Lo abbiamo chiesto all’esperto Alessandro Diana.
L'assenza del rischio zero, il problema del "long Covid" e la possibilità che emergano nuove varianti più contagiose. Ma anche il ruolo centrale della comunicazione verso i più giovani e, in generale, gli indecisi: «Chi esita ha bisogno di argomenti chiari».
BELLINZONA - Un tempo era sufficiente preoccuparsi di matite, penne, quaderni e qualche compito estivo, rigorosamente sbrigato all’ultimo giorno di vacanza. Quest’anno però non sarà così. Per i giovani, dai 12 anni in su, tra i preparativi per il ritorno (in sicurezza) dietro ai banchi di scuola ci sarà anche da decidere se vaccinarsi o meno contro il Covid-19. I primi di loro si sono presentati oggi pomeriggio al centro vaccinale di Giubiasco. Ma c’è una domanda che orbita attorno a questo nuovo step della campagna vaccinale e che molti si pongono: perché immunizzare i più giovani se questi in fondo si ammalano poco e lievemente?
Ebbene, noi questa domanda l’abbiamo rivolta ad Alessandro Diana, pediatra e docente di vaccinologia dell’Università di Ginevra. Ed è una «domanda legittima», ci dice subito. «Il primo punto resta sempre quello di evitare il sovraccarico del sistema sanitario», che ormai sappiamo essere la variabile decisiva nell’equazione delle chiusure. E con l’entrata in gioco di alcune varianti lo scenario è inevitabilmente mutato. Ma andiamo con ordine.
Prima che la variante Delta facesse breccia anche in Svizzera, la strategia era quella di vaccinare prevalentemente le persone a rischio, per età o patologie, dato che i giovani «non rappresentavano potenzialmente un problema di sovraccarico» per gli ospedali. «Adesso però è arrivata questa variante Delta, molto più contagiosa. E quello che ci preoccupa dal punto di vista della salute pubblica è che, andando a quantificare la fascia di popolazione dai 20 ai 60 anni che non si è ancora vaccinata, nel momento in cui entra in gioco questa variante rischia di esserci un numero elevato di persone che si ammaleranno allo stesso tempo». Una situazione che abbiamo già conosciuto in questi ultimi diciotto mesi. «In altre parole, potremmo ritrovarci nelle prossime settimane alla situazione di novembre scorso. E non vogliamo che accada».
Nelle ultime settimane qualche avvisaglia di una possibile ondata è già stata registrata. «Stavamo attraversando un periodo di calma, non si vedeva quasi più nessuno in ospedale per il Covid, mentre ora i pazienti stanno tornando. E quello che mi ha fatto effetto è vedere che ora abbiamo persone in terapia intensiva a 50 anni. È un po’ come quando, prima della tempesta, arrivano le prime gocce di pioggia. La perturbazione è già arrivata e ora sta cominciando a piovere».
Varianti più contagiose? «È la grande preoccupazione»
Se la presenza di varianti come quella “inglese” (Alpha) prima e quella “indiana” ora è il motore attuale della pandemia, a preoccupare in prospettiva è la possibilità che nei prossimi mesi ne possano emergere altre, ancora più contagiose. Anche dall’ampio bacino di giovani non ancora immuni. «È un po’ la grande preoccupazione di tutti. Se all’inizio eravamo meno preoccupati da queste varianti, ora ci rendiamo conto che questo rischio c’è», spiega Diana.
«Il virus muta e ha ancora milioni di persone da infettare e quindi diciamo che ha il modo di trovare dei buoni numeri alla roulette. Quello di cui possiamo essere contenti è che per il momento, in termini di capacità di difesa, ce la stiamo cavando bene con queste varianti. Però l’alfabeto greco è ancora lungo e speriamo che non si trovi una lettera capace di metterci in difficoltà». Ed è anche in questa prospettiva che l’idea di lasciare il virus libero di muoversi in un bacino così ampio non lascia del tutto tranquilli. Libero e in un “ecosistema” aperto, con al contempo tanti vaccinati e tanti non vaccinati.
Ma è possibile quindi che da una “convivenza” di questo tipo possa generarsi una variante capace di eludere gli attuali vaccini? «Diciamo che per ora è un’ipotesi. Questo virus muta in una proporzione che è di circa 6-8 volte minore rispetto a quello dell’influenza. Però infetta tantissime persone, dato che nessuno ne era immune in precedenza, e nel replicarsi commette degli errori di trascrizione. Si sa che in ogni individuo ci sono miliardi di copie del virus e, se le osserviamo, vediamo che molte di queste sono “sballate”. Ovvero nel mutare la sua forma il virus ne assume una non più utile e, per selezione naturale, questo muore e non si trasmette più. Però c’è anche la possibilità che nascano virus molto più contagiosi», dato che il suo interesse è quello di contagiare meglio e di più.
Una questione di vantaggio individuale
Al netto dei benefici per la collettività, la scelta di vaccinarsi per un giovane deve però essere motivata anche da vantaggi di carattere individuale. Ma quali? Il punto è fondamentale per il dottor Diana e altrettanto lo è la comunicazione. «Dire a un giovane: “Vaccinati per gli altri, perché altrimenti il sistema sanitario rischia di crollare” è un messaggio molto altruista ma non facile da far passare. Credo che ora sia il caso di toccare delle corde più individuali. Se devo vaccinarmi, prima di tutto lo devo fare per me. Poi se questo è utile anche alla comunità, tanto meglio». È vero che i rischi di decorsi gravi per gli adolescenti contagiati dal coronavirus sono poco probabili, «ma non sono comunque ridotti a zero. E poi c’è la questione del cosiddetto “long Covid”, che invece colpisce con una certa frequenza anche i giovani.
«Ragazzi, adesso questa pandemia è vostra»
«Sono due argomenti importanti», prosegue. Ma c’è un altro messaggio, forse ancora più efficace, che deve passare in questa fase dell’emergenza. «In questo momento, la pandemia di Covid-19 è diventata la pandemia dei non vaccinati. Fortunatamente, anche con la variante Delta, le persone vaccinate sono protette. Ci si può infettare, ma con sintomi più lievi. La protezione contro i ricoveri e i decessi resta molto alta». In altre parole, occorre spiegare ai ragazzi che «adesso questa pandemia è vostra. E delle persone non immuni e non vaccinate. Perché la variante Delta si “butterà” su di voi».
Tutto passa però attraverso una comunicazione adeguata. E in questo senso c’è un «gap» importante da superare, perché in fondo - come ci conferma anche il professor Diana, che da tanti anni si occupa di educazione sui vaccini - la maggioranza delle persone che rifiutano o rinviano la vaccinazione lo fanno perché non sono informate o hanno qualche preoccupazione. I cosiddetti “no vax” sono una stretta minoranza. «Credo che dire a qualcuno che già esita - perché noi ci stiamo rivolgendo ora a persone che non sono vaccinate, e queste per definizione hanno dei dubbi - “ma dai, fallo per gli altri”... Ecco, io nei loro panni non sarei convinto. Perché in fondo chi è una persona che esita? È una persona che non ha ancora trovato risposte alle sue domande. Queste persone hanno bisogno di argomenti da poter mettere sulla propria bilancia per poter dire: “Ho deciso di vaccinarmi perché ho un interesse anch’io a farlo”».
I possibili effetti avversi della vaccinazione nei giovani
Anche nella fascia tra 12 e 15 anni, come per le fasce d'età superiori, sono stati riscontrati alcuni possibili effetti avversi, spesso blandi, successivi alla vaccinazione. Tra questi il dolore nella zona in cui si riceve l'iniezione, il senso di fatica, il mal di testa e la possibile comparsa di qualche linea di febbre. Inoltre, sono stati registrati casi molto rari (e perlopiù lievi) di miocarditi e pericarditi - due tipi d'infiammazione che colpiscono rispettivamente il muscolo cardiaco e la membrana che avvolge il cuore - principalmente nei giovani di sesso maschile, alcuni giorni dopo la seconda dose.