La comunità LGBTQIA+ subisce ancora pregiudizi. In particolare le persone trans e intersessuali. Un problema anche in Ticino
LUGANO - La paura di una caratteristica diversa dalla nostra può essere logorante per chi ne è vittima. Specie se si traduce in discriminazione e violenza. Ne sa qualcosa la comunità LGBTQIA+ che, nonostante il sostegno della maggioranza della popolazione svizzera, subisce ancora pregiudizi e intolleranza.
Una ricerca condotta da gfs.bern per conto di Amnesty International, Queeramnesty, Dialogai e le organizzazioni ombrello TGNS, InterAction, Pink Cross e LOS mostra un aumento dei pregiudizi, dell'intolleranza e della violenza, in particolare contro le persone trans e intersessuali.
Insomma, in un mondo che cambia ci sono cattive abitudini che sembrano consolidarsi piuttosto che sparire. A fornirci una fotografia di questa realtà è venuta in nostro aiuto la portavoce di Imbarco Immediato, Arianna Lucia Vassere.
È possibile che, all'alba del 2025, si stia regredendo quando si parla di tolleranza?
«I dati lo confermano: nel 2023, alla LGBTIQ-Helpline è stato segnalato quasi un crimine d'odio anti-LGBTIQ al giorno: 305 casi in totale. Sono raddoppiati. E la parte della sigla che è più toccata dalle violenze è la componente trans e intersex, che segnala un clima ostile».
Cosa si intende per clima ostile?
«Si pensi solo che l'insulto verbale, anche se indiretto, può essere offensivo per un'intera comunità. Ancora oggi si usa il termine “frocio” come appellativo insultante, come se essere omosessuale fosse qualcosa di sbagliato. Altro esempio può essere la vittoria di Nemo all'Eurovision Song Contest. Sui social e non solo si è riversato contro l'artista e la comunità alla quale ha detto di appartenere, un odio davvero preoccupante».
Forse alcuni appellativi fanno fatica a uscire dal linguaggio parlato...
«Il problema è molto più profondo. Siamo ancora alla battuta sulla saponetta caduta a terra».
E questo è solo il contesto, la cornice nella quale si consuma la violenza agita.
«Purtroppo. Violenza che si consuma in Svizzera come in Ticino. E succede che le persone non denuncino per paura. O perché gli enti di supporto, che siano la polizia oppure il servizio di aiuto alle vittime di reati, non sono ancora pronti ad accogliere questo tipo di situazioni, anche perché stigmatizzate».
La colpa è delle Autorità?
«Non è corretto dire questo. Anche presso le Istituzioni c'è bisogno di maggiore sensibilizzazione su questo tipo di crimini d'odio. A oggi, ed è già un passo avanti, è più facile immaginare di intervenire per il reato di razzismo piuttosto che per quello di omofobia».
La legge in questo senso quanto protegge?
«Basti pensare che il 261 bis, la norma penale antidiscriminazione, mette sullo stesso piano il crimine per razzismo con quello per omofobia. E tutela le persone omosessuali, ma non quelle trans. Riconosce la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale ma non sull'identità di genere».
Alcuni (penso a Netflix) stanno investendo molto sulla diversità e l'inclusione.
«Vero, ma sembra che di fronte al crescere della visibilità delle persone LGBTQIA+, ci sia al contempo un aumento dell'ostilità. Quasi che un diritto in più acquisito da una parte della popolazione vada a svantaggio di un'altra parte».
Il ruolo della politica qual è in tutto ciò?
«È la prima a dover capire che, ogni volta che tratta queste tematiche, deve farlo con cautela, senza mai dimenticare che sono direttamente legate ai diritti umani. Non è ideologia, non è propaganda».
Il Ticino in questo senso pecca forse di un certo provincialismo?
«Ricordiamoci cosa si è scatenato per due pagine sull'agenda scolastica dedicate all'identità di genere. Sicuramente nel nostro cantone la popolazione trans e intersessuale è soggetta a un pregiudizio e a degli stigma piuttosto significativi. Spesso anche tra le mura domestiche. Ci sono ancora molte le famiglie che fanno fatica - per paura - ad accogliere il familiare trans, intersessuale od omosessuale che decide di fare coming out. C'è poi tutto quel sostrato di omofobia indiretta, strisciante, che logora lentamente e profondamente».
A cadenza regolare il tema lo si affronta, ma nulla sembra cambiare.
«Sicuramente servono misure di prevenzione, ma occorre soprattutto parlarne, confrontarsi. Occorre formazione, sensibilizzazione. Serve anche poter esternare i propri dubbi, le perplessità, ma solo se si ha desiderio di conoscere. Solo così si potrà smettere di avere paura».