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LUGANO

«Ventotene? Una polemica insensata. L'avversario più tosto? L'avvocato Ghedini»

Marco Travaglio torna in Ticino con "I migliori danni della nostra vita". L'intervista tra Italia, Ucraina e scontri in televisione
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«Ventotene? Una polemica insensata. L'avversario più tosto? L'avvocato Ghedini»
Marco Travaglio torna in Ticino con "I migliori danni della nostra vita". L'intervista tra Italia, Ucraina e scontri in televisione

LUGANO - «Di parlare bene o parlare male di qualcuno non me ne viene in tasca niente». Marco Travaglio, si sa, dice - e scrive - sempre quello che pensa, «senza mai chiedere il permesso». Il noto giornalista italiano - direttore de "Il Fatto Quotidiano" farà ritorno in Ticino, al Palazzo dei Congressi di Lugano, lunedì 31 marzo con la nuova edizione de "I migliori danni della nostra vita". E noi abbiamo colto l'occasione per una nuova chiacchierata, tra palco, attualità e gli scontri sul piccolo schermo.

Tre anni fa parlavamo di "Conticidio" e di un'invasione in Ucraina agli inizi. C'erano Mario Draghi a Palazzo Chigi e Joe Biden alla Casa Bianca. Oggi ci sono Giorgia Meloni e Donald Trump. E la guerra è ancora in corso. Che istantanea tracci di questo momento?
«È un momento molto diverso. Allora eravamo completamente asserviti agli ordini folli di Biden e del suo staff, salvo poi scoprire che Biden era completamente rincoglionito e c'erano altri che decidevano per lui. E per noi. Personaggi che non abbiamo mai conosciuto. Perché non c'è niente di più antidemocratico che tenere al governo un signore che non ci sta con la testa e farlo pilotare da gente che nessuno ha mai eletto e nessuno sa chi sia; seguendo una strategia folle che è stata quella di sabotare ogni tipo di negoziato e poi, dopo tre anni, lamentarsi perché il negoziato lo fa Trump. Però l'Italia, diciamo che non ha mai contato niente. Prima era a rimorchio di Joe Biden e adesso ne paga le conseguenze. Perché, avendo sbagliato tutto su commissione della precedente amministrazione deve comunque tenere buoni rapporti con quella nuova, che ha un'idea degli interessi americani completamente opposta a quella precedente e che quindi sta seguendo una linea che è l'opposto di quella precedente. E la Meloni, dopo un periodo in cui è stata il più fedele esecutore degli ordini di Biden in Europa, insieme ai paesi baltici e alla Polonia, si ritrova a dover tenere i piedi in due scarpe perché, ovviamente, ha votato la commissione von der Leyen - con il Partito democratico (PD) peraltro - e non può prescindere da quello che succede qua. Con il rischio che schierarsi troppo pedissequamente sulla linea Trump la danneggi nel momento in cui arriveranno i dazi. Quindi, cammina sulle uova».

Te ne chiedo un'altra. Sempre di attualità, ma un po' secondaria. Giorgia Meloni e le parole sul manifesto di Ventotene. Fumo negli occhi, così per una settimana si parla di altro, o una polemica che meritava questo lungo strascico?
«È totalmente insensata questa polemica. È come quando pretendono che la Meloni si dichiari antifascista. Dato che quelli che glielo chiedono pensano che sia fascista. Se tu pensi che il tuo interlocutore sia fascista, che senso ha continuare a chiedergli di dichiararsi antifascista? Perché se anche lo facesse, tu diresti: "Ma tanto è una bugia". E allora cosa le stai chiedendo? Di mentire? Un'altra volta? Come se non ci bastassero le bugie che ha raccontato. Allo stesso modo, la Meloni è a capo di un partito nazionalista che si chiama Fratelli d'Italia; come può venire in mente a qualcuno che sia una simpatizzante del manifesto di Ventotene? Al di là, di tutti gli aspetti datati - sulla proprietà privata, sulla rivoluzione, sull'inutilità delle elezioni democratiche - e legati al momento storico, era il 1941, l'intuizione che è attuale del manifesto è il superamento dei nazionalisti. Come si può pensare che il partito più nazionalista che c'è in Italia si schieri a favore? Dopodiché, cosa ne pensi la Meloni del manifesto di Ventotene non può fregare di meno. Nel senso che il manifesto non è mai stato realizzato da nessuno. Né dalla destra né dalla sinistra. Ecco, io mi chiedo: ma se avesse detto che le piaceva il manifesto di Ventotene cosa cambiava? Assolutamente niente. Perché il manifesto è rimasto su carta. È qualcosa da consegnare agli storici e non c'entra nulla con quella che oggi chiamiamo Europa. Quindi è una polemica insensata, sia da parte della Meloni sia da parte del PD. Con la differenza, che il PD è cascato con tutte le scarpe nella trappola. Perché la Meloni quel giorno in parlamento ha visto sfasciarsi la sua maggioranza sul piano von der Leyen, con la Lega che l'ha sfiduciata togliendole il mandato di andare ad approvarlo in Europa. Poi vedremo quanto durerà... E lei quindi, per nascondere questo disastro del suo governo ha pensato bene di toccare questi polli nel loro nervo scoperto del momento. E i polli naturalmente ci sono cascati invece di dirle "non butti la palla in tribuna, parliamo del piano di riarmo". E perché non lo hanno fatto? Perché anche loro hanno posizioni diverse e quindi faceva comodo anche a loro parlare di Ventotene».

È una polemica che però ha messo in luce uno dei grandi problemi dell'informazione di oggi: l'assenza, o la rimozione, del contesto. Con tutti i cortocircuiti che ne conseguono. Mi viene in mente lo scontro che hai avuto qualche giorno fa in televisione con Carlo Calenda. È riuscito a farti perdere il tuo consueto aplomb...
«Beh, te le strappa dalle mani certe espressioni... Come si può tollerare uno che viene scientemente per provocare, con un’ignoranza delle basi della questione russo-ucraina mista alla supponenza di insultare chiunque non la pensi come lui. Perché è lui che dà del propagandista a Orsini. È lui che dice che Caracciolo dice cazzate. E lui, solo perché è andato due o tre volte in Ucraina senza capire nulla, dovrebbe essere un esperto in materia? Ma allora, le hostess, gli steward, i piloti e i tour operator... Dovremmo chiamarli a parlare di Ucraina. Non è che se uno va a Kiev ha capito subito la situazione. Anche perché se poi va a Lugansk o a Donetsk sente una campana completamente opposta e forse capisce qual è il problema dell'Ucraina, che non è mai stata uno stato coeso ma è un patchwork di stati messi uno sopra l'altro. Ci sono quattro Ucraine diverse: se vai a est sono russofoni e vogliono essere indipendenti; al centro vogliono stare tranquilli; nell'ovest vogliono fare la guerra alla Russia ed entrare nella Nato; e se vai in Crimea, basta vedere cosa è successo nel 2014. Questa è la storia. Quindi sì, mi preferisco quando resto tranquillo, però ci sono alcune provocazioni che... Io poi, l'unica cosa che mi fa arrabbiare è proprio quando qualcuno mente o quando uno che non sa le cose poi pretende di spiegarle a chi ha studiato. Oltre al malvezzo di attribuire ad altri cose mai dette per poterli poi ridicolizzare. È inaccettabile. Sono i mezzucci di chi non ha niente da dire di vero».

Già che siamo in tema di scontri televisivi. In tanti anni di dibattiti, chi è stato l'avversario più difficile?
«L'avvocato Ghedini. Era un osso duro e poi eravamo proprio agli antipodi. Però aveva un modo di discutere leale. Lui aveva un'impostazione totalmente opposta alla mia. Erano due mondi che non si incontravano. Però non gli si poteva dire che fosse un ignorante o un incompetente. Anzi, tutt'altro. Infatti, personalmente avevo un buon rapporto con lui».

In quanto a te come personaggio televisivo, c'è chi ti definisce controverso. Di certo sei molto divisivo. E come tale ti sono state appiccicate tante etichette. Immagino ce ne sarà qualcuna che proprio non sopporti...
«Tutte quelle in cui si cerca di attribuirmi una dipendenza da qualche partito o da qualche potere, sia esso politico o giudiziario. Perché io non rispondo a nessuno. Io scrivo quello che vedo e quello che penso, senza mai chiedere il permesso a nessuno e senza mai farmi dire da nessuno cosa devo o non devo scrivere. Questa è la ragione per cui abbiamo fondato "il Fatto Quotidiano"; perché siamo un gruppo di giornalisti che si erano stufati di farsi censurare nei giornali tradizionali. Mi dà fastidio quando mi dicono che sono del partito delle procure, con Di Pietro, con Ingroia, con i 5 Stelle... Ogni tanto pure che sono filo Meloni (ride, ndr.). Tutte queste sciocchezze solo perché, se la Meloni dice qualcosa di giusto, io lo riconosco. Tu pensa che mi è capitato persino, in un paio di occasioni di dire che aveva detto cose giuste anche Berlusconi. Allo stesso modo, ci sono movimenti o partiti che si sono avvicinati di più a come la penso io. E quindi trovo naturale che per non dare torto a me stesso abbia dovuto dare ragione a loro. Ma a me di parlare bene o parlare male di qualcuno non me ne viene in tasca niente».

Abbiamo iniziato dal palco e torno al palco per concludere. Quel palco che tu, più volte, hai condiviso con un tuo caro amico che pochi giorni fa avrebbe compiuto 80 anni, Franco Battiato. Era una figura che faceva genere a sé. E senza di lui l'Italia è di certo un po' meno bella. Cosa ti manca di più del vivere quell'amicizia?
«Mi mancano le sue telefonate. Le chiacchierate che ci facevamo. La sua ingenuità, quasi fanciullesca. Era una persona di un'ingenuità e di una naïveté disarmanti. Sostanzialmente perché viveva in un altro mondo, lui. E in questo ci stava così, per caso. Mi mancano i suoi concerti, perché, ovunque potessi raggiungerlo andavo a vedermeli, anche della stessa tournée. Anche sei, sette, dieci volte. Mi mancano le cene prima dei concerti. Perché lui cenava prima. Lui saliva sul palco con il dolce ancora sul gozzo. E poi cominciava a cantare da seduto. Non ho mai capito dove avesse il diaframma in quel momento, ma così succedeva. Quindi sì, mi manca tutto questo».

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