Luca Campana, consigliere comunale per il PPD a Lugano
Il lavoro in Ticino è sempre più difficile e tutto dipende da quello che sai fare, dalle competenze e a volte diciamolo pure "da un pizzico di fortuna", ma poi c'è ben altro.
Io esorto sempre i giovani ad evitare l'isolamento e le posizioni difensive, che nell'immobilità professionale allungata nel tempo provocano danni irreparabili.
Devono impegnarsi, adattarsi alle esigenze ed imparare le lingue nazionali, ma spesso si vedono sorpassati da chi non ha le minime qualifiche e non si capisce bene il perché.
Esistono unioni sindacali, associazioni di categoria e gruppi che difendono a spada tratta i diritti e i privilegi della manodopera "specializzata e non" di lavoratori frontalieri, talmente efficaci le loro azioni da far rimanere di stucco chi non è mai riuscito ad avvantaggiare i residenti nella patria natia con simili propagande.
Il lavoratore ticinese ha fatto molta strada ma è ancora discriminato, togliamo dalla lista i pochi che hanno un cognome "ingombrante" per cui la strada professionale è già delineata e pure lastricata di marmo pregiato rosa; per tutti gli altri è abbastanza difficoltoso.
Fino a pochi decenni fa il ticinese che faceva il bancario trovava un posto da bancario, l'operaio specializzato entrava in organico aziendale facilmente, e probabilmente vi restava tutta la vita.
Al giorno d'oggi per complesso paradosso si moltiplicano i corsi superiori sul nostro territorio con scarso risultato sui neodiplomati al momento di entrare nel mercato del lavoro.
Si deve passare sotto le forche caudine anche per chi opta un apprendistato di tre- quattro anni, vedendosi sorpassato da chi ha un certo tipo di esperienza da una regione diversa senza magari neanche un attestato.
Quando una struttura importante come il mondo del lavoro non sta in piedi inutile perder tempo a puntellarla, serve cambiare paradigma a favore della propria cittadinanza, e che quindi la conoscenza del territorio e la permanenza in esso siano prerogativa di una scernita dei candidati; essi si sapranno difendere con l'esperienza futura.
Rompere il muro dei pregiudizi tipici della nuova mentalità imprenditoriale ticinese è un impresa ardua, ci si trova confrontati da personaggi e titolari che ripetono come un mantra ciò che a loro fa più comodo, che "il ticinese non ha voglia di lavorare", "che non accetta il lavoro e soprattutto gli orari", sottacendone spesso le condizioni che a volte per un residente rimangono impossibili e alquanto inique, rispetto al costo di vita di un lavoratore extra nazionale.
Si dice, altresì, nelle facili favelle metropolitane, che lo svizzero non ha più voglia di effettuare lavori umili; anche qui vi è omissione nel contemplare le tante e nuove persone naturalizzate con umile formazione (i nuovi svizzeri) che sono disposti ad esercitare tutte le attività ad unica condizione che il salario sia congruo al minimo fabbisogno famigliare.
Noi non abbiamo bisogno di difenderci: noi abbiamo bisogno solo di dissolvere, gradualmente, i pregiudizi nel mondo del lavoro verso i nostri lavoratori indigeni.
Solo così si potrà dare un futuro a noi e ai nostri figli.