Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, MPS
È questa, in sostanza, l'impressione che emerge dalla presa di posizione odierna del Consiglio di Stato sulle cosiddette riforme della giustizia.
Come si ricorderà, lo scorso 14 ottobre il Parlamento ha approvato una risoluzione intitolata "Riforme in favore della giustizia ticinese". Sin da subito, i toni del dibattito e i contenuti di quella risoluzione sono apparsi piuttosto “decisionisti”, probabilmente nel tentativo di far dimenticare l’immobilismo e l’incapacità del Parlamento (in particolare dei partiti di governo, che agiscono e disfano a loro piacimento) di offrire risposte adeguate ai problemi storici dell’amministrazione della giustizia.
La risoluzione si concentrava su una serie di proposte e indicazioni relative a: Ministero pubblico, Magistratura dei minorenni, Giudicature di pace, nomina dei magistrati, servizio ricorsi del Consiglio di Stato, Consiglio della Magistratura e onorari dei magistrati. Tuttavia, su questi temi non è stato concesso spazio ad alternative, vista l’unanimità della commissione. Di conseguenza, diversi emendamenti presentati dall’MPS sono stati respinti senza una reale discussione.
Un elemento centrale della risoluzione era una sorta di ultimatum rivolto al Consiglio di Stato. Ogni proposta, organizzata per capitoli e accompagnata da precise tempistiche, si concludeva con una chiara richiesta: “In ragione di tutto quanto sopra esposto, si chiede al Consiglio di Stato di comunicare alla Commissione giustizia e diritti, entro e non oltre il 31.12.2024, se concorda con la sua proposta.” A questa richiesta se ne aggiungeva un’altra, altrettanto stringente: “In caso affermativo, le attese tempistiche per l’emanazione del relativo messaggio all’attenzione del Parlamento, che si auspica avvenga entro la fine del mese di giugno 2025.”
Con la risposta diffusa oggi dal governo, possiamo affermare che l’esecutivo cantonale ha ottemperato solo formalmente a una delle richieste della risoluzione: esprimersi entro il 31 dicembre 2024. Tuttavia, sulle rivendicazioni puntuali contenute nella risoluzione (a prescindere dal giudizio di merito), il governo si limita a ribadire una generica disponibilità a discutere, evitando di prendere posizioni precise e delegando a terzi (altri organismi) analisi, approfondimenti e risposte.
Se l’intento del Parlamento, approvando la risoluzione del 14 ottobre, era quello di dare un deciso impulso alle necessarie e urgenti riforme della giustizia, tale prospettiva è stata oggi profondamente disattesa.
Un governo evasivo e fuori tema
La risposta del Consiglio di Stato risulta per molti aspetti evasiva e divagante. Non solo non entra nel merito delle questioni sollevate dalla risoluzione, ma affronta temi del tutto estranei, come la “pianificazione logistica” e la “trasformazione digitale della giustizia”, che occupano più di un terzo del testo del governo, pur non essendo mai menzionati nella risoluzione parlamentare.
Per quanto riguarda i punti centrali della risoluzione, il governo si astiene dall’esprimersi, relegando le proposte parlamentari allo stesso rango di tutte le altre iniziative presentate in questi anni. Significativa è la risposta relativa a due dei nodi più critici: il Ministero pubblico e la Magistratura dei minorenni.
È interessante notare che, nell’intero testo della risposta, la parola “potenziamento” compare soltanto due volte e sempre riferita alla Pretura penale; tema certo presente nella risoluzione, nella quale tuttavia si prendeva già atto della decisione del governo di operare un potenziamento, tanto è vero che il relativo credito era inserito nel Preventivo. Su questo punto la risoluzione invitava ad agire con sollecitudine: “si chiede al Consiglio di Stato di procedere prontamente con le relative assunzioni e con l’emanazione del messaggio per la nomina del nuovo Giudice e comunque entro e non oltre la fine del mese di novembre del corrente anno”. Richiesta disattesa poiché il governo promette un messaggio “per il primo trimestre 2025”: per il potenziamento effettivo – tra passaggio parlamentare, modifiche, concorsi e assunzioni, si andrà, nella migliore delle ipotesi, a fine anno.
Per quanto riguarda il Ministero pubblico e la Magistratura dei minorenni, il governo, come detto, non entra nel merito delle proposte avanzate: si limita a demandare il tutto a un gruppo di lavoro che “…verrà avviato dal Consiglio della Magistratura, coordinatore dello stesso, nel 2025 e valuterà tutte le proposte parlamentari afferenti le due Autorità giudiziarie”, aggiungendo che è “Difficile stimare le tempistiche di licenziamento del Messaggio”, concedendo uno zuccherino al Parlamento: la commissione giustizia e diritti avrà diritto ad un proprio rappresentante in questo gruppo di lavoro.Nulla di fatto, dunque: né sulle proposte, né sui tempi, né, tantomeno, sul tentativo di "stanare" l'esecutivo obbligandolo a prendere una posizione. Non si tratta di un aspetto marginale, considerando che eventuali potenziamenti avranno ricadute finanziarie – soprattutto in termini di personale – su cui sarebbe utile conoscere fin da subito l'orientamento del governo.
È quantomeno singolare, per non dire altro, che il coordinamento di questo gruppo di lavoro venga affidato al Consiglio della Magistratura. Non tanto per le vicende di questi giorni, che lo vedono protagonista in negativo e che avrebbero potuto suggerire una maggiore cautela (sebbene, evidentemente, la decisione del governo sia stata presa in precedenza), quanto piuttosto perché simili incarichi di coordinamento non trovano alcun fondamento nella Legge sull'Organizzazione Giudiziaria (LOG).
L'art. 74 della LOG attribuisce al Consiglio della Magistratura “il potere disciplinare e di sorveglianza sui magistrati e sulle persone che svolgono funzioni giudiziarie”, mentre l'art. 79 stabilisce, tra i vari compiti, “l’esame del funzionamento della giustizia con la presentazione di un rapporto annuale al Consiglio di Stato”. Si tratta, quindi, di una funzione di consuntivo che, peraltro, l'attuale CdM ha dimostrato di saper svolgere in maniera approssimativa e incompleta: è stato ampiamente sottolineato come, nel rendiconto sul funzionamento della giustizia del 2023, nessuno dei problemi oggi in discussione – al di là delle questioni più contingenti – sia stato affrontato in modo chiaro.
Non osiamo immaginare quale tipo di coordinamento il CdM sarà in grado di garantire.
Nomine dei magistrati: una questione ignorata
È superfluo sottolineare che il governo continua a non prendere posizione neppure sulle proposte riguardanti un tema cruciale come quello delle nomine dei magistrati.
La risoluzione della commissione avanzava una serie di proposte che, pur senza mettere in discussione il principio secondo cui il Parlamento rimane l’autorità competente per le nomine – principio che, come noto, contestiamo – miravano a introdurre significative innovazioni per superare le criticità esistenti. Tra le misure suggerite figuravano la riforma della commissione di esperti, l’introduzione di criteri di selezione più rigorosi, e persino l’ipotesi di un assessment delle candidature. Il tutto partiva dalla consapevolezza che “la procedura di nomina dei magistrati ha ancora recentemente evidenziato i suoi limiti”.
Il governo, invece, si limita a un generico e, in questo caso, strumentale richiamo al “rispetto delle competenze dell’autorità di nomina”, rinviando inoltre alla propria dichiarazione dello scorso 11 settembre. In sostanza, su una questione centrale che da tempo alimenta il dibattito politico e che ha contribuito, anche a causa delle nomine degli ultimi anni, a minare la credibilità della magistratura agli occhi dei cittadini e delle cittadine – così come quella dei principali partiti parlamentari – il governo dedica appena tre righe in un testo di 12 pagine, rimandando a una posizione già espressa in passato.
Autonomia gestionale: luci e ombre
Sul solo aspetto della risoluzione su cui il governo sembra recepire le preoccupazioni espresse – quello dell'autonomia finanziaria, gestionale e amministrativa della giustizia – mancano chiarimenti indispensabili e necessari, soprattutto alla luce dei recenti gravi eventi verificatisi presso il Tribunale penale.
Attualmente esiste un'evidente contraddizione nella gestione autonoma del personale amministrativo impiegato in Magistratura. Tale contraddizione emerge tra questa autonomia – che può dare luogo a situazioni come quella della segretaria che ha denunciato un caso di mobbing – e la necessità, evidenziata dallo stesso Consiglio di Stato, di garantire “la parità di trattamento tra tutti gli impiegati dello Stato”. Gli episodi recenti dimostrano chiaramente che questa parità non è assicurata: le autorità responsabili della direzione nei vari ambiti della Magistratura adottano criteri di gestione del personale che spesso confliggono con quelli validi e stabiliti dalla legge e dalle normative vigenti per gli altri dipendenti pubblici.
Un esempio emblematico è rappresentato dalla gestione del caso di mobbing che ha portato, successivamente, alla destituzione di due giudici del Tribunale penale cantonale (TPC). È innegabile che siano emerse lacune significative nelle capacità di gestione e di risoluzione dei conflitti da parte delle autorità competenti.
Dubitiamo che una “maggiore autonomia” – sia essa di natura amministrativa o finanziaria – possa risolvere questi problemi, a maggior ragione se non verrà garantita una tutela più incisiva dei diritti dei dipendenti. Tale tutela appare, allo stato attuale e considerata la specificità dell'ambiente lavorativo all'interno delle diverse strutture della Magistratura, estremamente difficile da raggiungere.
Rileviamo, inoltre, che anche su questo punto il governo si limita a esprimere una generica disponibilità di principio, senza assumere alcun impegno concreto in merito ai contenuti e ai tempi di intervento. Questo atteggiamento è ancor più preoccupante se si considera che la risoluzione del Gran Consiglio sottolineava chiaramente l’urgenza di affrontare “immediatamente” il tema.
In conclusione
In sintesi, il Consiglio di Stato non prende posizione sulle questioni di fondo, non assume impegni temporali e rinvia le decisioni a strutture, come il gruppo di lavoro citato, che difficilmente garantiranno risposte precise e tempestive. La risoluzione parlamentare, concepita per essere incisiva e immediata, viene dunque svuotata del suo significato.
Resta ora da vedere quale sarà la reazione dei partiti di maggioranza di fronte ad una risposta evasiva e tutto sommato assai negativa Tuttavia, il comportamento accomodante mostrato dopo l’audizione del Consiglio della Magistratura sui recenti scandali, finita a tarallucci e vino, non lascia presagire nulla di buono. Ancora una volta, il Parlamento rischia di apparire una “quantité négligeable”.