Il commento alle misure annunciate questa mattina da CS del professore dell'USI e dirigente bancario Luca Soncini
LUGANO - Era atteso ma l'annuncio di questa mattina della reale entità dei problemi di Credit Suisse, durante la presentazione dei risultati del terzo trimestre, non ha mancato di scuotere la scena finanziaria mondiale e anche la borsa.
Le misure annunciate dalla dirigenza si basano fondamentalmente su tre punti: una ristrutturazione interna importante, altrettanto consistenti tagli nel personale e un'iniezione di liquidità a cui parteciperà anche la Banca Centrale dell'Arabia Saudita. Al momento, le opinioni degli osservatori sono piuttosto contrastanti.
Per tentare di vederci un po' più chiaro ne abbiamo parlato con Luca Soncini, Docente di strategie bancarie all’USI e dirigente bancario.
Le misure annunciate da Credit Suisse per contenere la crisi sono per certi versi imponenti (soprattutto per quanto riguarda i tagli al personale), funzioneranno?
Il piano è caratterizzato da azioni di correzione e riconversione a tutto campo: riposizionamento strategico, ristrutturazione organizzativa, riduzione massiccia dei costi, aumento di capitale.
Gli impatti si faranno sentire sul bilancio, sul conto economico, sui processi di lavoro. Se adeguato e sufficiente lo potremo capire e valutare solo a distanza di 9-12 mesi, al più presto a metà 2023, con il rapporto semestrale.
Non sarà una passeggiata e si spera che l’”environment” (mercati, stato di salute dell’economia) non sia ostile.
Ritiene che possano toccare la Svizzera e il Ticino?
È l’unità che nel gruppo ha dimostrato di perfomare meglio, ma le conseguenze della ristrutturazione si faranno sentire ovunque.
Il riorientamento strategico all'interno dei dipartimenti della banca è uno dei punti più sbandierati delle misure, per l'uomo della strada rischiano di essere assai poco comprensibili. Cosa cambia, davvero e perché si è scelto di muoversi così?
Perché, purtroppo, si è arrivati a un punto in cui non bastavano “ritocchi” o correzioni, ma un’inversione totale che tocca tutti i settori.
Deve cominciare dalla testa (dove in passato sono stati commessi gli errori maggiori, non si sono capiti i rischi connessi alla cultura aziendale dominante, e si è perso tempo) e scendere giù lungo le varie linee. E a sorreggere il cambiamento (e i costi delle sistemazioni) ci vorranno capitali freschi.
La situazione precaria di Credit Suisse preoccupa a livello globale, la preoccupazione di alcuni osservatori è di un effetto-domino e una (nuova) crisi finanziaria globale. Secondo lei è ancora una possibilità (se lo è mai stata)?
Il caso del CS appare come un buon esempio di “over reaction” e di esagerazioni. Lo stato di salute della grande banca non è dei migliori (specie a livello di reputazione), ha bisogno di cure, ma stando anche alle cifre oggettive non vedo il rischio né di fallimento, né di crisi sistemica.
Una notizia che ha fatto abbastanza scalpore è quella che riguarda l'entrata in scena della Banca saudita. È davvero così una novità per le banche svizzere questo tipo di rapporto con gli istituti di credito arabi?
Stiamo parlando di banche internazionali, gli azionisti, anche importanti e/o istituzionali, non sono solo svizzeri (com’era cent’anni fa) o europei, ma si trovano in Asia, America, Medio Oriente. Non è una novità che i capitali arabi siano interessati ad aziende europee, comprese le banche.