Nei casi cronici si può arrivare a provare istinti suicidi.
Nell’antica Atene chi veniva ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato veniva ostracizzato, ovvero escluso dalla vita sociale e allontanato. Era questo il destino, se il suo nome veniva scritto dai membri dell’assemblea popolare su un frammento di terracotta (ostrakon). Oggi il bando sociale, con conseguenze pericolose, avviene via social.
E quando a esserne vittima sono i giovanissimi, ciò può avere effetti devastanti, fino a causare una fortissima depressione e anche istinti suicidi. A studiare le conseguenze psicologiche di questa modernissima forma di esclusione è stata la studentessa di psicologia Christiane Büttner, dell'Università di Basilea che ha vinto la 21esima edizione del premio Steven Karger, assegnato ai lavori di ricerca più interessanti tra quelli eseguiti dai dottorandi dell’ateneo.
Nella sua pubblicazione, ha esaminato l'impatto sul benessere psico fisico dell'essere ritagliati nelle foto o non taggati con il proprio nome del profilo. A tratti potrebbe addirittura apparire come un’esagerazione quella di avvertire conseguenze sulla salute per colpa di tale esclusione, ma così è. E così quando accade di essere l’unica persona esclusa da una foto pubblicata sui social oppure di essere l’unico a non venire taggato ecco che si insinua questa sottile forma di esclusione sociale sempre più dannosa.
La psicologa Christiane Büttner ha esaminato scientificamente il fenomeno. «Dopo aver sperimentato tale esclusione, le persone cercano di ritrovare la connessione utilizzando strategie diverse. Se si viene esclusi dagli altri per un lungo periodo, questi tentativi alla fine si arrestano e prendono il sopravvento sentimenti di impotenza e depressione. La depressione e i pensieri suicidi sono conseguenze a lungo termine dell'esclusione sociale cronica», afferma Büttner.
Lo studio si chiama "Perché non mi hai taggato?”, ed evidenzia come l’esclusione sociale dai post di Instagram faccia male, soprattutto a chi sente un forte bisogno di appartenenza. L’analisi è anche stata pubblicata sulla rivista Computers in Human Behavior. «Sono felice del riconoscimento. Mi stimola ad affrontare problemi sociali rilevanti nel mio lavoro», ha detto Büttner che insieme a Selma Rudert ha esaminato tali effetti in cinque studi che hanno interessato oltre 1.000 giovani.
«Ovviamente le reazioni sono differenti, non tutti subiscono in maniera così forte tale esclusione. Purtroppo però c’è anche chi crede che i processi sui social media siano gli stessi della vita reale ma non è così», conclude Christiane Büttner.