La testimonianza di un abitante dell'ex zona rossa dove è scoppiato il primo focolaio
«L'errore - racconta Lucio Scaramuzza - è pensare che sia una banale influenza. Non è così. Tre miei amici sono morti e aumentano i decessi tra i quaranta e i cinquantenni. L'unica soluzione è uscire di casa il meno possibile»
CODOGNO (LODI) - Hanno assaporato, per qualche ora, il sollievo di una giornata a “zero contagi”, ma poi domenica scorsa c'è stata una ripresa. Qui nell’ex zona rossa, a Codogno, in provincia di Lodi, dove il coronavirus ha appiccato il suo primo focolaio d'Italia, sono consapevoli che sotto la cenere la brace cova ancora. Eppure, rifugiandosi in casa, gli abitanti sono riusciti a mettere la museruola al virus che ora morde di meno. In questo momento sono loro ad indicarci la via per uscirne con i minori danni.
È stato un botto - «Non è che qui l'infezione sia sparita, ma è in una fase decisamente più contenuta rispetto a quello che è stato l'inizio» racconta al telefono Lucio Scaramuzza, 72 anni, esperto di cani da caccia e scrittore di questa che è la sua passione. «È stato un botto. Tutto è partito come un fulmine a ciel sereno, nessuno si aspettava nei nostri comuni un'epidemia con quella virulenza - continua l'abitante di Codogno -. Ha colto tutti di sorpresa, ma le decisioni prese con una certa tempestività e intelligenza, ossia di chiudere tutta una zona, sono state giuste».
Meglio i guanti - Chi vive qui, confinato tra quattro mura, può raccontare cosa significa vivere "in clausura": «All'inizio la gente era perplessa, ma poi ha capito. Io esco il mattino presto per fare la spesa e prendere i giornali. Vado e vengo, ma in giro non c'è quasi nessuno. Opto per i guanti, più che per la mascherina. Perché se non si hanno quelle, introvabili, di massima protezione, le altre sono più che altro un palliativo psicologico. Le mascherine hanno una funzione per chi è contagiato».
Senza ansia da spesa - Non si finirà mai di ripeterlo. Ma, visto che ancora non tutti l'hanno capito, anche da Codogno ribadiamo l'invito: «Essenziale è rispettare la distanza. Nelle botteghe e nei supermercati entriamo in pochi alla volta, uno se il negozio è piccolo e in 5-6 se lo spazio è maggiore». La frenesia del fare scorta, qui nella Bassa Lodigiana, è superata: «C'è stata nei primi due o tre giorni. Ma ora coi supermercati e molti negozi di frutta e verdura aperte non c'è più quella paura di restare senza. Si trova tutto ciò che serve. Si fatica solo a reperire i guanti e le mascherine».
La stalla e i buoi - Anche qui il susseguirsi delle notizie sul coronavirus, i pareri degli esperti, creano un certo smarrimento. E allora ci si attacca all'unica certezza: «Uscire il meno possibile. La tendenza dei politici è stata quella di chiudere la stalla quando i buoi erano ormai scappati. Invece, proprio alla luce di quello che è successo in Italia, avrebbero dovuto agire prima. A chi minimizza dico che è solo questione di tempo. Mi auguro di sbagliare».
"Tre miei amici sono morti" - Un altro errore, da evitare, secondo chi ha visto da vicino gli effetti del virus, «è pensare che sia una banale influenza. Non è così, eh! Tre miei amici sono morti, uno tra l'altro non sapevo neanche che fosse malato. Certo la maggior parte aveva già dei problemi di salute, però stanno aumentando i decessi tra chi non aveva patologie. Persone tra i quaranta e i cinquant'anni. Non dico visti coi miei occhi, perché per fortuna io sto in casa».
L'attesa per il dopo - Tappati, altro tema ricorrente, non significa segregati del tutto. «Qui a casa ho due cani - spiega Lucio -. Li porto in giardino, si accontentano». Altra certezza, conclude, è che non finirà tanto presto: «Una zona per non essere più infetta, dicono che debbono passare due mesi senza alcun contagio. Prima di tornare alla normalità passeranno mesi, con quali conseguenze economiche non so, ma in questo momento la cosa più importante è la salute. Ci sono milioni di ettari incolti in Italia. Una soluzione si troverà».