Misure anti Covid, i ragazzi “non ci stanno più dentro”. L’analisi dello specialista Marco Galli.
Il capo dell'Ufficio cantonale per i giovani lancia un appello: «Tenete duro ancora un po’. E state pronti a riprendere in mano le redini dei vostri sogni. Con consapevolezza, coraggio e altruismo».
BELLINZONA - Prima c’erano i ragazzi che si ammassavano alla pensilina di Lugano. Poi quelli che organizzavano incontri “in sovrannumero” in casa. Poi quelli che festeggiano sul treno. Giovani nel mirino delle autorità nell’inverno pandemico. Trattati come untori. Soprattutto da quando è subentrata la variante britannica, che tra i teenager viaggia forte. «I trasgressori – sostiene Marco Galli, capo dell’Ufficio cantonale per i giovani – sono comunque meno di quanti se ne potevano attendere. E ci sono a ogni età».
Eppure i giovani sono sempre più criticati. Qual è il suo pensiero?
«Mi piace guardare al 99% dei giovani che si sta comportando correttamente e che tiene duro con grande impegno e spirito di sacrificio. Mi preoccupano di più eventi meno eclatanti quali aperitivi condivisi tra adulti o incontri tra nuclei familiari, che fanno meno rumore ma sono più ricorrenti. Puntare il dito su una categoria sociale è controproducente. In particolare, i giovani, in questo momento difficile, hanno bisogno di sentirsi sostenuti e incoraggiati e non certo di essere messi all’indice per pochi irrispettosi».
Il virus colpisce soprattutto gli anziani e i deboli. Di recente la filosofa Francesca Rigotti, intervistata da Tio/20Minuti, ha dichiarato che "stiamo rovinando i nostri giovani, facendogli credere che gli altri siano i nemici". Cosa ne pensa?
«Capisco quello che vuole dire Francesca Rigotti. Ma non penso che i giovani vedano negli altri dei nemici. E questo nonostante le misure di prevenzione inducano alla prudenza nei contatti interpersonali in presenza. Ho visto anche numerosi esempi di solidarietà intergenerazionale, come il volontariato per la spesa o le videochiamate ai nonni, ai quali va forse data più rilevanza. La forte motivazione all’altruismo e la capacità dei giovani di sviluppare un proprio pensiero non vanno sottovalutate. Sono convinto che, passata la tempesta, ci sarà un rinascimento del contatto umano di cui i giovani saranno il motore».
Chiusi in casa senza vedere i propri coetanei. Quanto può danneggiare la psiche di un giovane questa condizione?
«Bisognerà aspettare l’esito delle numerose ricerche. È presumibile, e alcuni primi dati sembrano indicarlo, che aumenteranno, almeno in una prima fase, stati d’ansia, sentimenti di inadeguatezza, ritiro sociale, disturbi del sonno e stress. I ragazzi più fragili andranno monitorati con attenzione e sostenuti, sia a scuola, sia nell’ambito dei servizi. Sono però anche esperienze che fanno crescere in fretta e che responsabilizzano. Non tutto sarà stato negativo per loro: molti avranno imparato a rispettare il prossimo in modo ancora maggiore e a capire che anche il comportamento individuale conta. I giovani poi sono specialisti nel riprendersi la vita, non appena le condizioni lo consentiranno».
La scuola come ancora di salvezza per mantenere un contatto con la normalità. È d'accordo?
«Certo. La scuola, assieme alla famiglia e agli amici, sono i punti cardine per bambini e giovani. Ha un potere normalizzante e rassicurante fondamentale, in quanto a scuola i giovani, oltre a socializzare e ad apprendere, hanno la possibilità di confrontarsi con adulti di riferimento, ai quali esprimere dubbi e insicurezze. Senza scuola, il peso sarebbe tutto sulle spalle dei genitori e molte famiglie si troverebbero in difficoltà, mentre molti giovani sarebbero davvero soli. Il potere “terapeutico” della scuola non va sottovalutato».
Diversi docenti del liceo e delle professionali riferiscono che i giovani che hanno vissuto il lockdown di primavera e che ora stanno frequentando il primo anno di una nuova scuola sono spenti oppure agitati.
«Passività e agitazione sono gli estremi della medesima problematica: la perdita di punti di riferimento e la difficoltà di trovare un senso a ciò che stiamo vivendo. Nel mondo del “tutto e subito” bisogna allenarsi ad avere pazienza, appoggiarsi su piccole e grandi abitudini, ricercare e costruire rituali di ogni giorno, che aiutino a dare stabilità e sicurezza ai ragazzi. E con una maggiore serenità, tornerà anche la motivazione».
Alcuni studi hanno dimostrato che questa situazione sta facendo perdere la qualità del sonno ai ragazzi.
«La diminuzione delle ore di sonno era una tendenza già in atto prima della pandemia. E verosimilmente ora è stata rafforzata. Occorre cercare di condividere con i propri figli l’importanza di ridurre il ricorso ai media elettronici e di compensarlo con attività ludiche quali il gioco di società e attività fisiche quali sport e passeggiate. La maggiore prossimità con la natura è sicuramente uno degli effetti collaterali positivi di resilienza alla pandemia. Per alcuni spunti consigliamo anche una visita al sito: www.salutepsi.ch».
Si vede la luce in fondo al tunnel. Cosa può fare un giovane allo stato attuale delle cose per non mollare?
«Come in una maratona, i momenti più duri sono sempre gli ultimi. Importante è tenere duro, per non compromettere tutto l’impegno profuso sinora. In caso di primi segnali di cedimento, è importante appoggiarsi a figure che possono esserci di riferimento e ad attività che ci fanno stare bene. A volte una telefonata a una persona cara o la lettura di un buon libro possono dare senso a tutta la giornata. Pensare positivo, seppur impegnativo, aiuta sempre. Ai ragazzi dico: state pronti a riprendere in mano le redini dei vostri sogni. Con consapevolezza, coraggio e altruismo».