La realtà di chi sciopera per il clima, tra frustrazione e oppressione. Ne parliamo con due attivisti
BELLINZONA - Gli appelli dei ricercatori non si fermano, le estati e gli inverni si manifestano con temperature sempre più alte ma nonostante ciò - rispetto al 2019 - si scende di meno in piazza per il clima.
«È difficile capire quale sia il motivo principale, ma una causa importante è sicuramente la mancanza di ascolto da parte della politica», spiega a Tio/20 Minuti Ariele de Stephanis, membro del movimento Sciopero per il clima Ticino. Un'opinione condivisa anche dall'attivista Matilde Peduzzi: «I politici ticinesi e svizzeri non hanno considerato le numerose rivendicazioni che abbiamo portato agli scioperi e alle azioni».
Ambedue condividono l'opinione del politologo Oscar Mazzoleni, secondo cui il calo delle proteste è in parte a causa del Covid e del suo effetto “demobilitante”, segnalano però che non è solo una questione politica: c'è un fatto che deve destare preoccupazione a livello sociale.
Occhio alla salute mentale
«Il contrasto tra la gravità del problema e la considerazione che la politica ne riserva può creare in noi giovani diversi disagi che vanno a danneggiare anche la nostra salute mentale», spiega Peduzzi. C’è quindi una forte componente psicologica. «Attivarsi per il clima impiega diverse energie, soprattutto per chi è nel coordinamento. Non vedere dei risultati fa demotivare, fa mettere in discussione l’utilità di questo impiego di energie. Tutto ciò può risultare frustrante, anche opprimente sotto un certo punto di vista, fa perdere fiducia anche nella democrazia» aggiunge de Stephanis.
È un fatto che i nostri interlocutori hanno notato in prima persona. «Ci sono stati dei membri che ci hanno esplicitamente detto “io esco dal movimento perché per me è meglio non continuare con questa lotta, mi mette soltanto angoscia”. Noi, comunque, cerchiamo sempre di sostenerci a vicenda».
Quindi, ci si radicalizza
Questa sensazione di non essere ascoltati da un lato demotiva, dall’altro radicalizza le forme di proteste. «Sì, perché ci sono persone che sono veramente convinte della necessità di agire e che sono disposte a continuare a mettersi in gioco indipendentemente dall’azione politica. Non vedendo però alcuna risposta, sono convinte che l'unica l’opzione restante sia quella di radicalizzare la tipologia delle loro azioni» affermano gli attivisti.
Una strada che, in Ticino, non viene percorsa. «Noi come Sciopero per il Clima non adottiamo forme di disobbedienza civile in Ticino. Sosteniamo le rivendicazioni e che sia necessario agire, ma la metodologia non la condividiamo». Anche perché sono azioni che rischiano di creare astio verso chi protesta per il clima. «Personalmente credo che sia possibile che alcune azioni possano portare un’immagine negativa all'intero movimento per il Clima», ammette de Stephanis, «ma non bisogna generalizzare».
«Ticino, ascoltaci»
Uno sguardo è quindi rivolto al Cantone: «In questa situazione, riteniamo che per dimostrarsi un cantone che rispetti i valori della democrazia, il Ticino debba instaurare un rapporto più comunicativo con i movimenti dal basso e prendere più seriamente le rivendicazioni che portano avanti». In questi anni, infatti, i membri del movimento che ha coinvolto così tante persone, non si sono mai seduti al tavolo con esponenti delle autorità. «Un vero punto di contatto non c’è mai stato».
L'ultimo venerdì di sciopero non ha visto eventi in Ticino. Il Movimento non ha in programma niente? «Stiamo preparando qualcosa, ma devo ammettere che non siamo pieni di energie. In ogni caso, continueremo portare avanti la lotta alla crisi climatica, sperando sempre in una presa di posizione da parte delle autorità politiche».