“Sulla Mappa” di Pablo Creti è da oggi disponibile su PLAY RSI e racconta di un lato inedito, ma vivacissimo, del nostro cantone.
LUGANO - Un prodotto fuori dai canoni, come la materia che tratta.
È stato presentato ieri - giovedì sera - con una proiezione al Lux di Massagno il nuovo documentario firmato RSI “Sulla Mappa - 30 anni di rap in Ticino”. Realizzato da un'idea di Pablo Creti, il film ripercorre le tappe del movimento hip-hop nel nostro cantone dalle origini fino ai giorni nostri.
Abbiamo detto fuori dai canoni, perché sarà disponibile solo sui canali digitali di PLAY RSI e sarà accompagnato, sempre sul web, da una nutrita quantità di materiale extra «per capire l'entità del fenomeno, i luoghi, i suoni e le persone», ci conferma Creti.
Parliamo inizialmente del progetto, so che è stato un lavoro lungo e impegnativo. Puoi raccontarci un po' di che parla “Sulla Mappa”?
«Ci abbiamo messo più o meno un anno, forse un po' meno, da settembre 2023 all'inizio dell'estate 2024. Il documentario racchiude trent'anni di storia del rap ticinese e non solo. È un viaggio che parte dai primi MC, DJ e produttori fino ad arrivare ai ragazzi che fanno questa musica oggi. È una sorta di viaggio che racconta la loro storia, ma anche la storia delle giovani generazioni ticinesi e del territorio, di come - in questi 30 anni - le cose sono cambiate, nel bene e nel male per loro. Insomma, possiamo dire che è un ritratto - a suon di rap - della nostra società e del nostro cantone».
Le persone, gli artisti, che avete interpellato sono tantissimi: dai Momò Posse passando per Jay-K, Maxi B (e i Metro Stars) fino ad Acbess, i Ciemme e i giovani Mattak ed Ele A. Com'è stato ritrovare quei giovani rapper che oggi - decenni dopo - sono diventati probabilmente dei papà o comunque degli adulti che hanno messo da tempo il microfono in un cassetto. Come li avete trovati?
«Sono una trentina di interviste fra rapper, produttori e collettivi. In alcuni casi rintracciarli è stato davvero difficile ma devo dire che c'è stata una partecipazione attiva da parte di tutta la scena, passata e presente. Una sorta di risposta volontaria davvero incredibile, nel senso che quando si è sparsa la voce hanno cominciato a contattarmi diversi rapper di varie generazioni perché erano interessati dal progetto. E quindi, man mano, si sono aggiunti nomi e quindi anche storie. La parte più impegnativa del lavoro è stato intessere tutto questo materiale in maniera coesa e sensata anche tenendo conto del contesto storico e sociale ticinese. Come avevano vissuto? Di cosa avevano cantato? Quali aspetti del Ticino avevano raccontato? Non è stata una cosa semplice ma, d'altro canto, è anche questo il bello di avere per le mani 30 anni di storia. Il risultato finale è una rappresentazione fedele e vivace di cui sono davvero soddisfatto».
30 anni sono un lasso di tempo davvero lungo, si “scavalla” dall'era analogica a quella digitale. Dai rapper che rimavano usando come base i dischi in vinile a quelli che producono tutto attraverso il computer e poi vivono di social. Tu che hai avuto l'occasione di avere a che fare con entrambi noti un cambiamento di atteggiamento? Cioè, per loro, il rap è cambiato?
«Quello che mi è parso di percepire è che nei giovani è comunque rimasto un amore, un atteggiamento verso il rap come forma espressiva molto simile a quello della cosiddetta “old school”. Di sicuro resta in comune la parte di andare ai live, fare le battle di freestyle e tutto l'aspetto socio-culturale legato al mondo dell'hip-hop. Il rap è sempre stato una questione di posti, di luoghi, che siano reali - com'era agli inizi - o virtuali, con i social network. L'importanza è l'incontro, il confrontarsi e fare musica assieme. Di sicuro non è un Reel su Insta o un post su TikTok a tradire lo spirito o l'amore per il rap. Anzi, tutto il contrario».
Il rap è sempre stato, negli anni, un linguaggio forte di rottura e provocazione, anche in italiano. La sensazione è che in Ticino sia sempre stato un filo più “tranquillo” con meno voglia di “spaccare”, diciamo. Cosa ne pensi?
«Secondo me, questa cosa varia molto da rapper a rapper e anche di generazione in generazione. Ci sono stati momenti in cui l'esigenza di criticare e di farsi sentire, con messaggi sociali o politici, era senza dubbio più presente. In altri casi ci sono rapper che portano con sé lo spirito del "rap da battaglia", quello in stile «sono più bravo di te, faccio più rime di te, spacco più di te». Quello che però è emerso in maniera abbastanza costante da tutte queste interviste era una condivisa sorta di scomodità nello stare in un territorio comodo come il nostro, l'essere in artista in un microcosmo piccolo e limitato come il Ticino. Per questo per molti, dai veterani fino alle nuove leve, è sempre stato importante la loro musica - appunto - “Sulla Mappa” grande del rap fatto in italiano».
Per concludere, a parte qualche eccezione pop (fra la Swift e la Carpenter) si può ormai dire che il rap abbia ormai vinto su tutta la linea e si sia instaurato da anni come genere musicale per eccellenza, soprattutto per i giovani. Come si sentono questi “papà”, questi veterani del rap ticinese degli anni '90? Insomma, si sentono anche loro - in qualche modo - parte di questo trionfo?
Da una parte, c'è senz'altro un aspetto nostalgico, dato che loro sono stati un po' i pionieri di una cosa che - inaspettatamente - alla fine è esplosa. Da una parte penso che questa sensazione un po' di saudade di essere stati i primi e che ora i frutti li stiano raccogliendo le nuove generazioni, ce l'abbiano. Ma è un sentimento positivo, permeato di affetto e molta stima. Per capirci non è un «che sfiga» ma piuttosto una sorta di tifo per chi oggi “se la sta giocando”, da chi ormai non è più in campo. È un sentimento davvero bello.
Per guardare “Sulla Mappa - 30 anni di rap in Ticino” basta cliccare qui.