Il numero di scoscendimenti da oltre un milione di metri cubi avvenuti nelle Alpi, sopra i 2500 metri, negli ultimi 25 anni è superiore a quello dei 100 anni precedenti
BREGAGLIA - I quattro milioni di metri cubi di roccia che ieri mattina si sono staccati dal Pizzo Cengalo, per poi riversarsi nella sottostante Val Bondasca - fortunatamente senza fare vittime - , sono l’epilogo di una situazione allarmante che ha iniziato a lanciare segnali ben prima dei cedimenti avvenuti nelle scorse settimane. È una questione di anni, e il principale indiziato sembra essere quel “vorace” riscaldamento globale che sta gradualmente dilaniando il permafrost delle nostre Alpi e che promette - nel giro di una ventina di anni - di divorarsi anche il ghiacciaio del Basodino.
«Negli scorsi anni, nelle regioni di alta montagna si sono registrate in misura maggiore cadute di massi e frane che hanno avuto la loro origine in aree di permafrost» spiegava già nel 2013 in un comunicato la Comunità di Lavoro Regioni Alpine, sottolineando come uno degli esempi di maggiore rilievo in materia di instabilità rocciose dell’arco alpino fosse proprio la frana staccatasi dal Cengalo il 30 dicembre del 2011.
Uno scoscendimento di due milioni di metri cubi di granito, staccatosi da circa 3000 metri di altezza, che giunto nel fondovalle della Val Bondasca ha dapprima travolto il sentiero escursionistico raggiungendo in seguito - a causa dei violenti temporali dell’estate seguente - quello stesso villaggio di Bondo evacuato a titolo precauzionale nella giornata di ieri. E confermando inoltre una preoccupante tendenza, rilevata anche in un articolo apparso sulla rivista “Le Alpi” in cui si sottolineava come «il disgelo a lungo termine del permafrost nel corso degli ultimi decenni, nonché la penetrazione di acqua di scioglimento nel caldo inizio di primavera del 2011», potessero avere giocato un ruolo importante nello svolgersi dell’evento.
In altre parole, il perdurare del riscaldamento dei versanti con permafrost sembra essere direttamente correlato con l’aumento del numero dei franamenti. E in questo senso le cifre riportate dall’articolo sembrano, a loro volta, parlare molto chiaro: con quella avvenuta ieri, negli ultimi 25 anni nelle Alpi - al di sopra dei 2500 metri - si sono osservate almeno 6 frane con volumi superiori al milione di metri cubi, «più di quante se ne siano contate nei 100 anni precedenti».