Riccardo Bocco e la società ai tempi del Covid-19: «Rapporti conflittuali? Sì, ma credo che abbia prevalso la solidarietà».
«Pensieri negativi sugli italiani? Comprensibile, con l'epicentro della pandemia in Lombardia. Ma la cooperazione è una carta vincente».
GINEVRA - Una prova molto dura, superata la quale saremmo diventati tutti migliori. Più aperti verso il prossimo e finalmente capaci di apprezzare le piccole cose. Il disastro portato dal coronavirus avrebbe dovuto cambiarci in meglio. Così almeno si era detto.
Ma forse non è accaduto.
Con una cruda battuta - “Quelli che erano buoni prima sono diventati buonissimi, quelli che erano pirla prima sono diventati pirlissimi” - l'attore Flavio Sala ha infatti fatto un ritratto perfetto della società post-pandemia.
«Litigiosità? C'è, c'è stata, ma credo che abbia prevalso la solidarietà – ha sottolineato Riccardo Bocco, professore di Sociologia Politica al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra – Di questo periodo di difficoltà io ricorderò sempre con stupore e piacere iniziative come il Caravane de Solidarité ginevrino. Con le donazioni alimentari del sabato e la distribuzione della domenica. In poche settimane, quello pensato come un incontro per sostenere chi si trovava in difficoltà è cresciuto fino ad arrivare a portare un aiuto enorme. Nell'ultimo appuntamento io stesso ho visto almeno 2'000 persone in coda in attesa di poter avere del cibo».
Episodi di insofferenza sono tuttavia stati numerosi. Nei confronti degli over-65, di chi non rispettava le limitazioni, dello straniero - l'italiano nel caso del Ticino – del lavoratore frontaliere...
«Mi pare che il rapporto con italiani e frontalieri sia sempre stato piuttosto conflittuale in Ticino. Se a questo aggiungete che, in questo caso, la pandemia ha avuto il suo epicentro “occidentale” in Lombardia, è anche comprensibile il pensiero negativo di qualcuno. Non so per esempio cosa sarebbe successo qui a Ginevra se in Savoia, che pure è stata duramente colpita, ci fosse stata un'emergenza sanitaria come quella che si è verificata a sud del “vostro” confine».
In alcuni casi si sono provati sentimenti contrastanti, tenendo conto del fatto che il sistema sanitario ticinese si avvale delle competenze di numerosi medici, infermieri e operatori italiani.
«Nella Svizzera Romanda è lo stesso. Anche qui i lavoratori stranieri – francesi ovviamente – sono tantissimi nelle cliniche e negli ospedali. Senza di loro sarebbe stato molto difficile superare la crisi. Una scelta vincente nel controllo della pandemia è stata quella di cooperare. L'aiuto a sostegno degli Stati vicini è stato fondamentale, per questo momento e per il futuro, Tra Svizzera, Francia e Germania c'è stata grande disponibilità nell'ospitare malati “altrui”. Questo comportamento ha alleggerito la pressione in determinate aree e si è rivelato ottimo in chiave di politica estera».
Anche il Ticino si è detto disponibile ad aprire i suoi ospedali ai pazienti italiani.
«Agli occhi del singolo cittadino queste scelte possono sembrare incomprensibili e creare dei fastidi. A livello politico centrale hanno però fortunatamente capito che la cooperazione è una carta vincente».
A parte il fatto che il buonismo ha vita breve, cosa ci ha insegnato la crisi?
«Che la solidarietà sociale esiste ed è molto forte ma anche che il nostro sistema economico è debole. Oltre agli ultimi della società, agli immigrati illegali, ai residenti invisibili e a tutti quelli che spesso lavorano in casa in nero, l'ondata del coronavirus ha messo in crisi una grossa fetta di popolazione. Penso alle classi sociali più basse, ai working poor – ovvero quelli che pur lavorando faticano ad arrivare a fine mese – che con uno stipendio magari più basso sono finiti in difficoltà. Il lavoro ridotto è stato un salvagente ma contemporaneamente ha tolto il 20% di salario a molti. E chi già era tirato... Vedete, il problema della Svizzera non è che ci siano pochi ricchissimi, quanto piuttosto che ci siano dei poveri. E che il numero di quest'ultimi negli anni sia sensibilmente aumentato. Quanto terrà ancora questa situazione? È insostenibile. Il consenso sociale non sarà duraturo...».
E a livello economico non ci attendono tempi floridi.
«Turismo, ristoranti... il blocco e le limitazioni avranno conseguenze che dureranno nel tempo. Il sistema di interdipendenza va ripensato perché condanna dei settori che, in una logica di profitto, sono stati esternalizzati».
Meglio pensare a un futuro a chilometro zero o nel quale puntare sul lavoro interno?
«Si deve ritrovare l'equilibrio perduto in favore, appunto, del profitto. Con i mercati chiusi, nella Svizzera Romanda c'è stato un ritorno alla frequentazione di agricoltori e cascine locali. Le persone hanno forse capito che comprare un prodotto del territorio, spendendo magari un po' di più, è una scelta vincente. Il bene è sempre disponibile, si sostiene l'economia della regione e non si è dipendenti da qualcosa che arriva da fuori e che, in situazioni straordinarie, può non essere reperibile».
Il discorso si può spostare sulle professioni? La paura potrebbe aver modificato le idee dei giovani nei loro percorsi studi?
«Più medici o infermieri al posto di professionisti dell'economia? O più agronomi o veterinari? È difficile da dire. Potrebbe anche essere, ma un cambiamento del genere non può ancora essere raccontato. Non c'è sufficiente distanza dalla situazione per tirare le somme».