Cifre che dicono tutto e niente. Valanghe di interrogativi. E l'epatologo Andreas Cerny non ci tira certo su di morale.
«Il vaccino? Forse non lo vedremo neanche nel 2021. Berna? Non credeva al Ticino e ha perso tempo».
LUGANO - Da Berna arriva lo stop al limite di mille persone per i grandi eventi. Nel frattempo, i casi di Covid-19 in Svizzera aumentano, col Ticino a fare da "isola felice" dopo l’incubo primaverile. Scatta l’allarme degli infettivologi, intanto: mascherine obbligatorie in vista dell’autunno. Qualcosa, però, non torna. Le persone ricoverate negli ospedali, infatti, sono poche, decisamente poche, rispetto ai contagiati. Il virus si è indebolito? Quando qualcuno si è azzardato ad affermarlo in pubblico, è stato zittito. Tio/20Minuti ha interpellato Andreas Cerny, epatologo di fama internazionale ed esperto in malattie infettive.
Come inquadra le settimane che stiamo vivendo?
«Da giugno in Svizzera c’è un lento, ma costante, aumento di nuovi casi. Conseguenza dei provvedimenti di allentamento. Le misure di contenimento ancora in atto, e soprattutto il lavoro capillare svolto dagli uffici dei medici cantonali, che seguono i contatti di ogni nuovo caso, ci proteggono da una ripresa dell’epidemia».
Diversi Paesi che hanno strumenti di salute pubblica meno efficaci, o che hanno precocemente abolito le misure di contenimento, sono in piena seconda ondata.
«Da noi la situazione potrebbe rapidamente peggiorare se il "contact tracing" registrasse un boom di nuovi casi. Sarebbe difficile isolare le persone contagiate e interrompere la catena delle trasmissioni del virus».
La gente torna dalle vacanze, riapriranno le scuole. E ci saranno allentamenti per i grandi eventi…
«Questi fattori potrebbero scatenare una rapida crescita del numero di casi».
Gli infettivologi chiedono l’obbligo della mascherina. Che ne dice?
«Concordo: l’introduzione dell’obbligo di portare la mascherina nei luoghi pubblici chiusi è per me una misura ponderata, scientificamente comprovata, da mettere in atto da subito».
Quando qualcuno ha provato a dire che il virus ora è più debole, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e buona parte del mondo scientifico lo ha smentito. Eppure (anche in altre nazioni), i dati indicano che le persone in cure intense o intubate sono poche rispetto a primavera. Perché non viene mai fatta chiarezza su questo aspetto?
«Non ho visto dati convincenti che indichino un calo dell’aggressività del virus. Prima che le persone abbiano bisogno di cure intense, trascorrono spesso settimane».
D’accordo, ma in Ticino, ad esempio, c’è un solo ospedalizzato al momento. Sembra quasi che si voglia tenere a bada la popolazione per paura di quello che potrebbe accadere nell’annunciare una minore incidenza del virus.
«L’età media dei nuovi casi è più bassa. E così anche la mortalità risulta minore. Inizialmente, inoltre, si faceva ricorso ai tamponi solo nei casi gravi. Oggi sono facilmente accessibili, individuando anche i casi con pochi sintomi».
Tutto il mondo scientifico sta lavorando per un vaccino. Lei cosa ne pensa?
«I criteri di qualità, di efficacia e di sicurezza per un nuovo vaccino, adatto per le persone a rischio o forse anche per la popolazione generale, sono difficili da raggiungere in tempi brevi. Nonostante i progressi scientifici, resto scettico sulla possibilità di averlo entro fine anno, forse non lo avremo neanche nel 2021».
Avrà senso questo inverno vaccinarsi per la normale influenza?
«Sì. I medici di famiglia e i pronto soccorso avranno a che fare con casi di Covid-19 mischiati con casi di virus respiratori invernali come l’influenza A e B. Vogliamo ridurre al massimo questi casi».
Se c'è chi dice che il Covid è più debole, c'è anche chi fa notare che invece in alcune parti del mondo (soprattutto nei Paesi a sud) è devastante. Perché?
«I confronti tra Paesi diversi sono difficili. Tanti fattori variano, come l’applicazione di misure preventive, l’affidabilità della raccolta dei dati, la disponibilità e l’utilizzo dei tamponi, la qualità dei sistemi sanitari e, come spesso citato, gli effetti climatici. Da noi, l’arrivo della stagione fredda aumenterà il rischio di contagio».
La sensazione, da ticinesi, è che Berna si sia mossa solo quando il Covid ha iniziato a toccare veramente anche i cantoni della Svizzera tedesca...
«In Ticino vedevamo quanto stava accadendo nella vicina Italia. I miei colleghi oltre Gottardo inizialmente non credevano alle testimonianze italiane e penso che anche l’Ufficio federale della sanità sottostimasse questa pandemia. La visita del Consigliere federale Alain Berset, accompagnato dal dottor Daniel Koch, a Roma il 25 di febbraio, ha rappresentato una svolta. Tuttavia, ritengo che si sia perso ancora troppo tempo successivamente, visto che le prime misure rigorose sono subentrate il 18 marzo».