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CANTONE«C'è bisogno di sessualità, anche nei luoghi di cura»

14.12.22 - 06:30
L'amore, il contatto, la presenza. Ma anche il piacere sessuale. A tu per tu con l'esperto: lo psichiatra Graziano Martignoni
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«C'è bisogno di sessualità, anche nei luoghi di cura»
L'amore, il contatto, la presenza. Ma anche il piacere sessuale. A tu per tu con l'esperto: lo psichiatra Graziano Martignoni

LUGANO - La sessualità nei luoghi di cura. Una tematica inedita e quasi scomoda, quella dell’ultimo Convegno annuale della Fondazione Sasso Corbaro, che da più di 20 anni si occupa di «cura dei curanti, oltre che di cura, nel senso umanistico, dei pazienti». Un tema delicato e persino sottaciuto, che abbiamo affrontato con il Vicepresidente della Fondazione, lo psichiatra Graziano Martignoni.

Sessualità… un tema che raramente si ritrova nei discorsi sulla cura. 
«Sessualità è una parola scivolosa, che contiene molte variazioni e molte vibrazioni. Legata all’intimità, alla corporeità, al desiderio, all’amore come “sentimento oceanico” della passione. La sessualità incontra, in questa nostra riflessione, il cuore stesso della cura. Sessualità e cura entrano in un dialogo, sotto lo sguardo di Eros, a volte indicibile e scandaloso, altre generatore di felicità. La sessualità abita l’”ordo amoris”, la bellezza del gesto, dello sguardo e della parola, ma anche la violenza, e le malerbe della cura e dell’amore. Parlando di sessualità abbiamo discusso sui i suoi messaggeri “eros”, “philia” e “agapé”, dunque desiderio, amicizia e carità, tre forme in cui si declina l’amore come attrazione-repulsione, come tenerezza e come dono. Se la prima è possesso, la seconda, philia, è bisogno di riconoscimento reciproco. E poi vi è la forza della carità, di quel donarsi gratuito. Una parola, sessualità, che tiene in vita le strutture fondamentali dell’esistenza umana”».

Ma come si traduce tutto ciò nel reale? Cosa succede banalmente se un paziente si innamora del suo infermiere, del proprio operatore sociale... O viceversa? 
«Prima di tutto va detto che queste cose succedono. Quando avviene l'incontro con qualcuno bisognoso di cure, si mette in moto anche quella parte emozionale, partecipativa, passionale, sensibile ai sentimenti. Personalmente sono critico verso quelle relazioni di cura che chiamo "della mano fredda", tecnicamente anche perfette e messe in atto da professionisti di alto profilo, ma che mancano del calore delle emozioni, delle sensazioni, dell'amore. Quando quel calore si sviluppa deve ovviamente essere controllato, tenuto a bada. E necessita di una buona equipe con cui condividerlo, ma a mio modo di vedere è essenziale per costruire dei gesti di buona cura. Di una cura sensibile e attenta all'ascolto dei sentimenti, propri e dell'altro». 

Quindi nel concreto può scaturire l'amore tra paziente e curante?
«Abbiamo interpellato professionisti di vari ambiti della cura, educativa, sanitaria e sociale. Prima di tutto hanno ammesso che queste dimensioni di cui si parla poco ci sono. E anche spesso. E sono testimonianza di comprensione del sentimento, a volte doloroso, dell'altro. Il minimo comune denominatore tra tutte queste figure è avere di fronte qualcuno che ha bisogno di noi e che, dunque, evoca anche il nostro bisogno dell'altro. Evoca la nostra fragilità, la nostra debolezza, il nostro bisogno d'amore, in una relazione governata da questo "filo d'oro" che è la relazione "erotica", che non ha niente a che fare con la sessualità agita». 

Eppure nelle relazioni esiste anche il sesso.
«L'atto sessuale capita. Se ciò avviene nel silenzio è pericoloso, perché può portare a un non governo di questa sfera emotiva. Bisogna avere il coraggio di parlarne, perché non c'è nulla di male in questa emozione, se condivisa totalmente e nel rispetto delle persone». 

Oltre al bisogno di amore, esiste per alcuni pazienti anche il bisogno di una sessualità agita?
«Ciò si verifica a volte nel campo della disabilità. Una volta gli operatori sociali si affidavano alle prostitute. Oggi esistono dei “professionisti dell'amore”, figure abbastanza rare che aiutano le persone, impossibilitate a causa della loro malattia/deficit, a soddisfare dei bisogni sessuali, di accarezzamento. Non mi risulta che ve ne siano in Ticino, ma nella Svizzera francese ci sono operatrici formate che svolgono questo compito delicatissimo, ma estremamente utile. È un settore ancora più misterioso, più delicato e del quale si parla ancora meno. Perché va detto, non bisogna pensare che chi vive sulla carrozzina e non è in grado di procurarsi piacere da solo, non abbia più il desiderio d'amore o sessuale».

Abbiamo parlato di sentimenti, di coinvolgimento, ma il curante spesso non mostra queste emozioni. 
«Certo, si dice addirittura che il bravo professionista sia colui che mantiene le distanze, che gioca la sua parte senza mettere in campo i sentimenti, come se dovessero appartenere solo all'universo privato. Io la penso diversamente. Più che usare termini quali vicinanza o distanza preferisco parlare di presenza emotiva. Di fronte a qualcuno che soffre dobbiamo essere presenti, dobbiamo esserci ancora prima di incontrarlo per esserci quando lo incontreremo e pure quando la nostra relazione di interromperà».

Con la recente pandemia ci si è confrontati in modo violento con la paura e con la morte. Non ci si è forse allontanati dagli altri esseri umani? E questa freddezza non si è riversata anche tra le corsie d'ospedale?
«Pensiamo ai parenti, che non hanno potuto dare l'ultimo saluto ai cari venuti a mancare. La pandemia ha portato a un distanziamento radicale ed esagerato che ha creato un'epoca in cui tutti hanno subito la mancanza del contatto. Da intendere anche come con-tatto, quindi la dolcezza, carezzevolezza. La mia nipotina che ha 6 anni, in quel periodo veniva a portarci i pasti o la spesa. Al cancello si lamentava perché non le veniva data la possibilità di toccare i suoi nonni. Aveva capito qual'era la cosa più importante: non la parola, ma il tocco, nel quale passa l'amore, la dolcezza, la vicinanza. Questa epoca ha inferto una grossa ferita a ciò che all'uomo è più caro: la possibilità di toccarsi. Questa privazione del contatto è diventata particolarmente dolorosa in ospedale o nelle case per anziani. C'è bisogno di carezze, che siano fisiche, ma anche dello sguardo, della parola, dell'ascolto. Tutti i sensi possono essere carezzevoli».

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COMMENTI
 

Finestra 1 anno fa su tio
Con 2 mignotte si risolve tutto

F/A-19 1 anno fa su tio
Risposta a Finestra
Non pensare solo ai vecchietti, ci sono anche le nonne da accontentare, e poi solo in due ora che arriva il prossimo turno si fa in tempo a voltar via😂😂😂

Paolo-Basilea 1 anno fa su tio
Affetto, carezze, contatto fisico: tutto giusto. Ma il titolo di quest’articolo è fuorviante. Richiama più i film di Lino Banfi (l’infermiera nella corsia dei militari) che le parole del prof Martignoni. Giornalisti…

Mamy 1 anno fa su tio
Risposta a Paolo-Basilea
Scusi ma lei non ha capito niente.

Geni986 1 anno fa su tio
Sempre bello leggere le parole del prof. Martignoni. Se tutti le leggessero, con calma e attenzione, e ne facessero tesoro, il mondo andrebbe già un po' meglio.

Mamy 1 anno fa su tio
Risposta a Geni986
Assolutamente sì!
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