Gianni Frizzo, l'uomo dello storico sciopero delle Officine FFS, era presente alla mobilitazione degli statali. E dice: «Non sarà l'ultima».
BELLINZONA - Dici sciopero in Ticino e pensi a lui. A Gianni Frizzo, uomo simbolo del maxi sciopero delle Officine FFS nell'ormai lontano 2008. Frizzo era presente anche giovedì pomeriggio alla mobilitazione di migliaia di dipendenti pubblici e parapubblici a Bellinzona. Il culmine di una giornata in cui si è anche scioperato.
Frizzo, qual è la sua sensazione da spettatore di una simile mobilitazione?
«Viviamo in un contesto completamente diverso rispetto a quello in cui ci siamo mossi noi delle Officine FFS sedici anni fa. Lo ritengo comunque un messaggio chiaro di resistenza. La partecipazione è stata enorme. Significa che si è toccato un tasto importante. Queste persone hanno la sensazione di vivere un'ingiustizia. A livello politico bisognerebbe ascoltare questi messaggi».
C'è chi sostiene che questa giornata è arrivata tardi e non servirà a nulla perché tanto i giochi per il preventivo 2024 sono fatti.
«Non è una giornata inutile. Il messaggio va visto in ottica futura. Sono state messe assieme tante persone. È stata una mobilitazione che è partita dal basso. Questo non può lasciare indifferenti chi dovrà prendere decisioni in futuro. E in ogni caso sono convinto che ci dovranno essere cambiamenti imminenti».
Al corteo è arrivata tanta gente. Ma il corteo è partito alle 17. Durante la giornata invece c'è stato chi ha avuto un po' di timore a scioperare. È una questione culturale?
«Sarebbe troppo semplice dire che fa parte della nostra cultura. In un Paese come la Svizzera ci dovrebbe essere sempre democrazia. E la democrazia passa anche dal diritto di manifestare dissenso e spirito critico. La democrazia si nutre proprio di questo».
Il momento economico ticinese non è dei più rosei. Secondo lei ci saranno altre mobilitazioni del genere nel futuro prossimo?
«Non credo che sarà l'ultima manifestazione simile. Anzi. Penso che a questo punto siamo anche di fronte a una lotta di classe. Sedersi a un tavolo a discutere è diventato quasi impossibile. Pertanto bisogna esercitare quegli strumenti democratici e civili che il popolo ha a disposizione. Ben vengano le mobilitazioni».