Nell'edificio soggiorna un'attivista contro l'aborto, già nota per altri comportamenti sopra le righe
La polizia indaga ora sulla provenienza dei feti: come sono arrivati lì?
WASHINGTON - La polizia di Washington ha trovato mercoledì cinque feti in una casa dove soggiornava una nota attivista anti-aborto.
Lo riporta l'agenzia di stampa Reuters, spiegando che la 28enne è la leader di un gruppo contro l'aborto (che spinge gli adepti a mobilitarsi con «azioni dirette», si legge sul sito web del movimento) e che si descrive come una «cattolica anarchica». Nel 2020, era già salita agli onori della cronaca per aver fatto irruzione con la forza in una clinica per aborti, insieme ad altri otto attivisti. Sono tutti sotto accusa per aver «ferito, minacciato e intimidito pazienti e impiegati, in violazione dei loro diritti federali».
La polizia, che è intervenuta in seguito ad una segnalazione anonima, ha detto che stava indagando su un «potenziale rischio biologico» quando ha trovato i feti, che sono stati sequestrati con dei refrigeratori e trasportati nei laboratori ufficiale per effettuare gli esami del caso.
Gli agenti, come riporta il New York Times, indagano ora sui possibili crimini relativi al ritrovamento. Lo ha confermato l'ispettore capo Ashan M. Benedict, che ha chiarito che visto che sembra che i feti siano «stati abortiti in conformità con la legge», gli inquirenti si concentreranno sul modo in cui sono arrivati nell'abitazione della donna.
L'attivista si è difesa dichiarando di avare «ottenuto l'accesso» dalla banca di organi e tessuti fetali della scuola di medicina dell'Università di Washington, che ha invece poco dopo chiarito che «non è stato preso nulla».
L'ateneo ha anche spiegato che la cella frigorifera di cui parla la donna contiene resti fetali donati all'istituto, che vengono usati per studiare difetti di nascita e altre condizioni «con l'obiettivo di migliorare la salute e il benessere dei bambini e delle loro madri». In seguito, vengono «completati tutti i passaggi normativi in modo che possa avvenire una cremazione rispettosa».
Nel 2017 in un'intervista la donna aveva dichiarato di «non poter più avere una vita normale» sapendo che «dei bambini venivano sistematicamente uccisi».