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Svizzera/Stati Uniti

Come le aziende svizzere si preparano ai dazi di Trump

Che siano diretti o indiretti, si cerca di far fronte agli effetti dell'ondata di protezionismo.
afp
Fonte Stephanie Caminada, Awp
Come le aziende svizzere si preparano ai dazi di Trump
Che siano diretti o indiretti, si cerca di far fronte agli effetti dell'ondata di protezionismo.

ZURIGO - La Svizzera è stata finora risparmiata dalle minacce dei dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Tuttavia, le aziende elvetiche prendono provvedimenti. Mentre alcune temono costi aggiuntivi, altre sperano in affari extra.

Ad essere soprattutto preoccupate sono le aziende che non hanno impianti di produzione propri negli Stati Uniti e quindi particolarmente sensibili ai dazi. L'azienda tecnologica Ascom, ad esempio, ha già adottato una serie di misure, hanno dichiarato i dirigenti dell'azienda. Per essere preparati sono state aumentate le scorte.

Anche il produttore di farmaci generici Sandoz teme effetti negativi: a differenza dei due colossi farmaceutici basilesi Roche e Novartis, non ha alcun stabilimento di produzione negli Stati Uniti. Si stima che i dazi punitivi già imposti sulle importazioni dalla Cina o dal Canada porteranno a costi aggiuntivi tra i 25 e i 35 milioni di dollari nel 2025, ha dichiarato il capo dell'azienda Richard Saynor.

Sandoz, come altre aziende, prevede di trasferire i costi aggiuntivi sui consumatori statunitensi. Alla fine, ciò interesserà soprattutto i pazienti, ha dichiarato Saynor. Spostare la produzione negli Usa, come vorrebbe Trump, è intanto fuori questione per il capo di Sandoz: «Le tariffe doganali non ci incoraggeranno certo a investire di più negli Stati Uniti».

Questo vale anche per altri dirigenti d'azienda, che hanno fatto riferimento ai costi relativamente alti della manodopera negli Stati Uniti. "Costruiremmo quindi di nuovo la nostra fabbrica in Messico e non negli Stati Uniti", ha detto il capo del gruppo industriale sciaffusano attivo nel settore dell'imballaggio SIG.

Anche stabilimenti produttivi negli Stati Uniti presentano dei rischi, in quanto potrebbero essere indirettamente trascinati nella guerra commerciale degli Usa. Ne sa qualcosa Lindt&Sprüngli, il produttore di cioccolato che ha adattato la propria logistica a causa del muro doganale già eretto tra Canada e Stati Uniti. Poiché dal 13 marzo il Canada ha imposto contro dazi del 25% sui prodotti americani, in futuro intende mandare con navi le proprie merci dall'Europa al Canada, e non più dagli stabilimenti statunitensi, perché è più economico, nonostante il trasporto via mare.

Alcuni Ceo non vogliono esporsi sull'argomento e molti sono indifferenti alla discussione sui dazi, almeno all'esterno. Ritengono che potenziali tariffe doganali siano gestibili per la loro azienda.

Questo vale in particolare per le aziende che hanno stabilimenti propri negli Stati Uniti. «Produciamo il più possibile localmente in ogni mercato, il che ci rende meno suscettibili ai cambiamenti politici», ha dichiarato Morten Wierod, Ceo di ABB, che però vuole anche espandere ulteriormente la produzione negli Stati Uniti.

La preoccupazione principale di molti Ceo è che i dazi possano influire sull'economia globale. La domanda potrebbe risentire dell'aumento dei prezzi: «Saremmo colpiti se una guerra commerciale rallentasse la produzione globale di automobili o se le persone acquistassero meno smartphone», ha dichiarato Aldo Kamper, Ceo del produttore di semiconduttori AMS Osram.

I dazi in generale non sono una buona cosa, ha affermato Conrad Keijzer, Ceo del gruppo chimico Clariant. Non c'è dubbio che ulteriori tariffe doganali statunitensi avrebbero un impatto negativo sulle attività e sulla crescita economica e potrebbero far aumentare nuovamente il costo dell'energia e delle materie prime.

La politica economica del presidente degli Stati Uniti ha un effetto destabilizzante in generale, ha avvertito Magdalena Martullo-Blocher, Ceo di Ems, ma ha anche affermato: «Ogni terremoto scopre una vena d'oro, basta trovarla». La sua soluzione: un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti.

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