Per gli Stati l'immigrazione «compensa la penuria di forza lavoro indigena». Spostare le procedure d'asilo all'estero è invece «inattuabile»
BERNA - L'immigrazione proveniente soprattutto dall'Europa «compensa la penuria di forza lavoro indigena, sempre più anziana», mentre lo spostamento delle procedure di asilo in paesi extra europei è «inattuabile».
È forte di queste riflessioni, sviluppata oggi al Consiglio degli Stati dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, che il plenum ha respinto nettamente due mozioni di Marco Chiesa (UDC/TI) su immigrazione e asilo (29 voti a 9 e 30 voti a 8).
Le due mozioni
La prima mozione - inoltrata nel quadro di una sessione straordinaria convocata dei democentristi sul tema immigrazione e asilo a poche settimane dal rinnovo del parlamento - chiedeva al Consiglio federale di formulare entro sei mesi un disegno al fine di attuare l'articolo 121a della Costituzione federale (adottato dopo il sì popolare del 2014 all'iniziativa UDC "Contro l'immigrazione di massa") per una "regolazione autonoma dell'immigrazione degli stranieri" tramite "tetti massimi annuali e contingenti annuali".
La seconda mozione chiedeva al Governo una strategia che permetta di eseguire procedure d'asilo all'estero e realizzare centri di aiuto e protezione fuori dai confini nazionali, eventualmente in collaborazione con altri Stati.
No a una Svizzera da 10 milioni
Facendo capo a uno slogan caro al suo partito, di cui è presidente, Chiesa ha descritto con toni allarmisti la forte immigrazione registratasi in Svizzera dal 2007, ossia dall'entrata in vigore senza restrizione della libera circolazione delle persone, che in due decenni ha visto crescere la popolazione di 1,4 milioni di persone, per toccare i 9 milioni nel giugno scorso. A questo ritmo, con 80 mila persone che si trasferiscono in Svizzera ogni anno, una Svizzera con 10 milioni di abitanti è dietro l'angolo.
Le conseguenze di questo forte incremento? Aumento degli affitti, natura e paesaggio sempre più sacrificati sotto la pressione insediativa, sicurezza dell'approvvigionamento energetico a rischio, trasporti pubblici sovraffollati, infrastruttura stradale al limite, pressione sulle assicurazioni sociali in crescita, pressione sui salari (come accade in Ticino, ha precisato Chiesa).
Per il ticinese una cosa è chiara: la Svizzera deve riprendere in mano la migrazione, non «subirla», per evitare il «collasso» del Paese e un deterioramento a medio termine della qualità di vita della popolazione residente. Non si tratta di chiudere le frontiere, ha sottolineato, bensì di far entrare solo le persone che servono davvero all'economia, sull'esempio di quanto fanno altri Paesi, come l'Australia, uno Stato che conosce ritmi di crescita superiori ai nostri anche senza libera circolazione. Insomma, per il "senatore" UDC, attualmente il nostro paese si trova «in un vicolo cieco su un'automobile con l'acceleratore a tavoletta». È bene fermarsi per tempo.
Per Thomas Minder (Indipendente-UDC/SH), l'unico a esprimersi in aula su questa mozione, l'immigrazione sostenuta crea problemi di integrazione, come dimostrano plasticamente i problemi che vive quotidianamente la Francia, e abbassa il livello scolastico.
Immigrazione necessaria
Nella sua risposta in merito ai problemi d'integrazione, la responsabile del Dipartimento di giustizia e polizia ha fatto notare che poco più della metà di coloro che giungono in Svizzera sulla base dell'accordo sulla libera circolazione con l'Ue sono qui per lavoro, il 10% per formarsi e il 26% per ricongiungersi con la famiglia. Solo il 5% sono richiedenti asilo.
Nonostante i numeri, ha aggiunto la consigliera federale socialista, l'economia ha un bisogno impellente di lavoratori, anche per sostituire coloro - e sono sempre di più - che andranno in pensione. L'immigrazione, che secondo Baume-Schneider non ha intaccato la prosperità del Paese ma, al contrario, l'ha rafforzata - contribuisce a moderare l'invecchiamento della popolazione.
«Inattuabile»
Con la sua seconda mozione, Chiesa propugnava un cambiamento di strategia alla luce dell'incremento di domande di asilo, una tendenza che si rafforzerà nei prossimi anni, anche alla luce degli sbarchi di immigrati in Italia. Molte di queste persone, ha spiegato Chiesa, sono giovani senza formazione che cercano l'«Eldorado» in Europa. Insomma, non si tratta di veri rifugiati. Per il presidente dell'UDC, il sistema asilo è insomma «fallito» e affidarsi a Schengen per gestire questo fenomeno rappresenta un «pio sogno trasformatosi in un incubo». Da qui l'idea di fare come altri paesi, ossia aprire centri per l'esame delle procedure di asilo in paesi terzi, come ventilato dalla Danimarca o dalla Gran Bretagna, in modo anche da combattere i passatori.
Ma, come puntualizzato da Baume-Schneider, tutti i progetti esperiti finora da diversi Stati europei per eseguire le procedure d'asilo all'estero sono falliti. Il progetto danese non è stato finora attuato; qualche mese fa il governo di Copenaghen ha ufficialmente congelato i relativi piani. Circa il Regno Unito, benché siano stati messi a disposizione, quale investimento iniziale, 120 milioni di sterline nel quadro di un nuovo fondo per sostenere lo sviluppo in Ruanda, finora Londra non ha trasferito alcun richiedente l'asilo in questo paese africano, ha spiegato la responsabile del DFGP.
Previsto per il 14 giugno 2022, il primo volo di ritorno è stato annullato sulla base di decisioni di tribunali britannici su casi individuali e della misura cautelare decisa il medesimo giorno dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La posizione della Svizzera coincide anche con le più recenti decisioni dell'UE, ha aggiunto Baume-Schneider, circa la riforma del patto europeo sulla migrazione e l'asilo. Quest'ultimo mira a velocizzare le procedure d'asilo, trattare le domande infondate alla frontiera esterna dello spazio Schengen e a ridurre la migrazione secondaria nello spazio Dublino, «ma non prevede di delocalizzare le procedure in paesi terzi con cui i richiedenti non hanno alcun legame personale».