Riparte la spesa in Italia. Il presidente della Disti Enzo Lucibello non è preoccupato dalla concorrenza italiana.
E sottolinea: «Ogni soldo che viene speso qui genera altro denaro investito sul territorio».
LUGANO - CHIASSO - Colonne di auto in dogana e parcheggi dei supermercati italiani nuovamente affollati di auto con targhe ticinesi. Il primo giorno di acquisti in Italia era molto atteso da diversi ticinesi, clienti abituali della spesa oltre confine. Un giro nei supermercati oltre frontiera ha messo in evidenza due aspetti: uno completamente nuovo e dovuto al momento storico che abbiamo vissuto: l’insofferenza per il divieto degli acquisti. «È stata un’assurdità aprire le frontiere e non darci la possibilità di fare acquisti» si è sfogato un cliente. «Sembrava di stare in dittatura. A quel punto tanto valeva chiudere del tutto le frontiere senza più fare entrare e uscire nessuno». «Alla fine hanno fatto un dispetto agli svizzeri, non all’Italia» ha commentato un altro acquirente ticinese. Il secondo aspetto è meno scontato: non sempre la qualità è migliore. «Devo dire che nei supermercati svizzeri la qualità è ottima, se veniamo qui in Italia non è per cercare prodotti migliori. È solamente il discorso risparmio che ci interessa», si lascia andare una cliente.
«Io per natura sono sempre fiducioso» dice Enzo Lucibello, presidente della Disti. La riapertura dei negozi d’oltrefrontiera al cliente, anche, ticinese non ha rabbuiato la giornata del presidente della Disti. L’Associazione dei grandi distributori ticinesi esce da tre mesi di acquisti al 100% in Ticino. Ed è un capitale, anche di fiducia ritrovata tra cliente e negozianti, da cui ripartire con ottimismo.
«Non sono preoccupato per questa riapertura delle frontiere, che peraltro è un ripristino dello status quo - continua Lucibello -. In questi mesi abbiamo potuto, in un certo senso, coccolare tutti i nostri clienti così da far loro capire che si possono trovare qui da noi prodotti di ottima qualità a un prezzo contenuto. Questo periodo è servito a far capire che si può fare la spesa anche in Svizzera senza farsi code e chilometri in auto».
Tre mesi che, dal vostro punto di vista, sono stati una sorta di esercizio obbligato per stabilire un patto di fiducia. E magari smentire i miti della diversificazione del prodotto e dello spendere meno in Italia...
«Speriamo che i clienti capiscano quanto è importante acquistare a carattere locale. Anche perché ogni soldo che viene speso qui genera altro denaro investito sul territorio. L’auspicio è quindi che non tutti vadano di corsa dall’altra parte...».
Sebbene le code, come ha osservato, possono diventare un ottimo argomento per non spostarsi troppo.
«Code oggi non ne ho viste molte. Ripeto il messaggio che credo sia passato è che si possa fare un’ottima spesa anche qui in Ticino, evitando disagi e passaggi di frontiere. La concorrenza in ogni caso ci stimola e ogni nostra azienda farà in modo di non perdere facilmente i clienti che ha conquistato».
Una vostra campagna fa appunto leva sul ripartire dai prodotti del nostro territorio...
«Abbiamo fatto una campagna che coinvolge anche la ristorazione per mostrare come si lavora tutti uniti per il cliente ticinese».
La sfida è anche psicologica. I più critici sostengono che la grande distribuzione non ricambia la fiducia riposta assumendo solo personale frontaliero. Cosa ribatte?
«È un luogo comune che vorrei sfatare con le cifre. La grande distribuzione ha circa seimila collaboratori e duecento apprendisti. Immettiamo nell’economia ticinese salari per circa 230 milioni di franchi, ma anche 200 milioni per l’acquisto di merci e servizi, 100 milioni per investimenti in nuove superfici e, in più, ci sono le sponsorizzazioni e il sostegno delle manifestazioni. Questo è il nostro contributo».