Le difficoltà di chi lavora a provvigione. «Non abbiamo uno stipendio minimo, e nessun aiuto».
Per qualcuno i guadagni si sono dimezzati: «Nel 2020 ho portato a casa solo 20 mila franchi. E ho due figli».
LUGANO - La pandemia di Covid è stata come una falce sull'economia, anche ticinese. Tra aiuti e lavoro ridotto, fortunatamente, c'è chi riesce a tenersi a galla, ma non tutte le categorie professionali stanno reagendo allo stesso modo.
A.*, consulente finanziario/assicurativo presso un ufficio broker del luganese, è tra coloro che si stanno leccando le ferite dopo un 2020 andato decisamente male (causa Covid oltre un quinto di chi risparmia nel pilastro 3a - dati Comparis - ha investito meno o addirittura per niente nella previdenza privata vincolata). E questo 2021 non sembra promettere grandi riscatti, almeno per il momento.
«Purtroppo la pandemia, per noi lavoratori pagati a provvigione, è stata una disgrazia - ci racconta il broker -. Qualcosa, in termini di aiuti, mi era arrivata verso marzo/aprile. Poi più nulla».
D'altra parte A., di fatto, può esercitare normalmente la sua professione. Il problema è che, allo stato attuale, si trova ad essere una figura poco richiesta. «Il nostro lavoro è strettamente legato al contatto con le persone. Ma sono tanti i clienti che hanno paura di vederci o non hanno la serenità economica o mentale per pensare a forme di investimento, che siano anche solo la previdenza individuale con il terzo pilastro. Le perdite di guadagno dovute al lavoro ridotto e ai licenziamenti causati della pandemia hanno avuto un peso considerevole sulla propensione al risparmio dei ticinesi».
«Insomma, possiamo lavorare, ma non riusciamo a lavorare», spiega. Risultato? «Nel 2020 ho realizzato 20 mila franchi. Meno della metà di quanto riesco a guadagnare di solito». Tirare avanti, così, diventa difficile se non impossibile: «Con due figli, stiamo dando fondo ai risparmi. Per fortuna c'è la mia compagna che percepisce un altro stipendio o non so come faremmo. Certo è che si sta facendo difficile».
A. si sente un po' dimenticato: «È il destino di coloro che sono pagati a provvigione. Poi, ovvio, c'è chi è più "sgamato" e in un modo o nell'altro sta riuscendo a cavarsela. Io cerco di lavorare con un'etica, non forzo il cliente. Per me un no significa no. Non sto a insistere. Questa etica, mi sta costando caro».
«I meno preparati i primi a soffrire della crisi» - Parlare di crisi generalizzata nel settore della consulenza indipendente, tuttavia, sarebbe un errore. «Non abbiamo riscontrato grossi problemi, nonostante sia stato necessario chiudere due mesi» sottolinea Mauro Bronzi, consulente finanziario indipendente e CEO/fondatore di AAURA Consulting SA. «Penso - prosegue quindi - che la situazione di un consulente in questo campo dipenda da diversi fattori: innanzitutto per quale ditta si lavora, se si è assunti e si hanno delle entrate fisse, oppure se si lavora solo a provvigioni. Poi conta molto anche il tipo di clientela che uno ha e quanto possono essere remunerativi e solidi i contratti che si fanno. Il rischio storno è sempre dietro l'angolo». Diversi, infine, sarebbero i fattori che giocano un ruolo chiave nel successo o meno di questa realtà professionale: «Se il cliente è facoltoso, è probabile che sarà una costante fonte di reddito, per cui in un periodo come questo posso contare di poter lavorare con i clienti fidelizzati invece di doverne cercare di nuovi. Ultima considerazione, ma non meno importante: la differenza vera la fa la competenza, per cui quando c'è la crisi i meno preparati sono purtroppo i primi a soffrirne».
*nome noto alla redazione.