La frana caduta nel 2017 dal Pizzo Cengalo aveva causato la morte di otto persone.
Le autorità erano però state avvertite da un geologo che una grande quantità di roccia si sarebbe staccata dalla montagna. Ma avevano rinunciato a monitorare la zona e a impedirne l'accesso.
BREGAGLIA - La frana caduta dal Pizzo Cengalo (GR) il 23 agosto 2017 è una delle più importanti che la Svizzera abbia conosciuto da decenni a oggi. Quel giorno, più di tre milioni di metri cubi di roccia si staccarono dalla montagna, uccidendo otto persone i cui corpi non sono mai stati ritrovati. La frazione bregagliotta di Bondo subì inoltre ingenti danni.
Un'indagine della rivista Beobachter rivela ora che le autorità cantonali sapevano che c'era un elevato rischio di smottamenti. Tuttavia, decisero di non sbarrare l'area in questione. Un geologo nominato dal Cantone inviò infatti un avvertimento via e-mail due settimane prima della tragedia. Nello scritto raccomandava di chiudere la valle Bondasca e di monitorare costantemente il Pizzo Cengalo. Le autorità presero però una decisione completamente diversa: dopo una loro valutazione effettuata in loco, decisero di non monitorare la montagna tramite radar e suggerirono al Comune di Bondo di non impedire l'accesso alla valle.
Le ricerche effettuate da Beobachter mostrano inoltre che i funzionari comunali non ricevettero tutte le informazioni necessarie per decidere se chiudere o meno la valle. L'ex sindaco del Comune, Anna Giacometti, ha infatti spiegato al Ministero Pubblico grigionese di aver appreso dell'e-mail di allerta solo sei mesi dopo la tragedia.
La giustizia dei Grigioni ha malgrado ciò deciso di chiudere l'inchiesta nel 2019, ritenendo che la tragedia non fosse prevedibile. Tuttavia, l'ultima parola non è ancora stata detta. Il Tribunale federale ha stabilito nel febbraio di quest'anno che la giustizia dei Grigioni non può ritenere chiuse le indagini, ma deve effettuare ulteriori approfondimenti. I giudici di Mon Repos hanno anche criticato il fatto che il Ministero pubblico retico abbia preso la sua decisione (di archiviare il caso) basandosi principalmente su una relazione scritta dalle stesse persone che hanno consigliato di non chiudere la valle della Bondasca nel 2017, «apparendo così come potenziali imputati nel procedimento in corso».