La denuncia arriva dall'ONG Public Eye: in Ticino ci sono 55 aziende attive nel settore del carbone
BERNA/LUGANO - Da anni, se non da decenni, il carbone è visto come la fonte energetica più inquinante al mondo. I governi e le aziende si sono lanciati quindi in una riconversione verde, per passare alle energie rinnovabili. Eppure, nel 2022, si estrae e si consuma più carbone che mai ed è proprio la Svizzera ad essere diventata un hub mondiale del carbone, con una grande spinta data proprio dal Ticino.
Lo rivela in un rapporto l'organizzazione non governativa Public Eye, secondo cui «il 40% del carbone mondiale viene commercializzato dalla Svizzera». Per questo, alla COP27 Berna dovrebbe «assumersi le proprie responsabilità di "commerciante di Co2" e organizzare un piano per uscire da questo business, che ha visto il prosperare di un triangolo di aziende tra Zugo, Ginevra e Lugano».
Oggi, in Svizzera, sono infatti attive 245 aziende nel settore del carbone (78 a Ginevra, 55 in Ticino e 54 a Zugo). Le compagnie minerarie che hanno qui la loro sede o una filiale commerciale estraggono complessivamente più di 536 milioni di tonnellate di carbone all'anno. «Includendo le emissioni derivanti dall'estrazione, dal trasporto e dalla conversione in energia elettrica, questo ammonta a quasi 5,4 miliardi di tonnellate di CO2 rilasciate nell'atmosfera», denuncia Public Eye. Una cifra, facendo il paragone, maggiore alle emissioni degli Stati Uniti. Cifra che, tra l'altro, non appare in nessun bilancio.
«Gli istituti bancari continuano ad investire»
Ma come è possibile che, nonostante tutto, questo mercato stia andando ancora così bene? La risposta sta nelle banche, che nonostante gli impegni climatici continuano a effettuare investimenti. Dalla firma dell'Accordo di Parigi del 2015, secondo Public Eye, le banche svizzere hanno prestato 3,15 miliardi di dollari all'industria carbonifera (a società come Trafigura, Glencore o l'estrattore russo Sibanthracite). Più della metà dei fondi - secondo i dati della società olandese Profundo - arriverebbero da Credit Suisse, ma molto anche dalle banche cantonali (in primis Zurigo, Vaud e Ginevra), nonostante il loro azionariato pubblico.
Viste le pressioni ambientali, insomma, i finanziamenti sono più discreti (avvengono ad esempio tramite linee di credito non vincolanti o "sottoscrizioni", che non emergono poi nei bilanci), e le strategie sono adattate in modo da escludere dai criteri i grandi gruppi diversificati, come ad esempio Glencore. Le società attive nel nostro Paese ottengono però fondi anche dall'estero: «tra il 2016 e il settembre 2022, il settore carbonifero svizzero ha ottenuto un totale di 72,9 miliardi di dollari dalle banche a livello internazionale», afferma Public Eye.
In quanto leader nel settore del carbone, «la Svizzera ha una leva di politica climatica e una responsabilità per la sicurezza energetica globale». Eppure, «finora la sua politica climatica ha completamente ignorato il commercio del carbone». Per questo, Public Eye chiede (con una petizione) al Consiglio federale e al Parlamento di agire, infine, adottando misure per la completa eliminazione di questa attività dannosa per il clima. Questo entro il 2030.