Quattro anni fa il tema centrale della vita politica e sociale era la crisi climatica, con cortei e scioperi. Non è più così?
LUGANO/BERNA - Se ne parla un po' meno, ci si mobilita più raramente e in politica ci si schiera in misura minore. Stiamo parlando del tema dell'emergenza climatica, che secondo un recente sondaggio di 20 Minuti e Tamedia non è più tra le prime tre preoccupazioni degli svizzeri.
Ma perché? «Le priorità dei temi dipendono da più fattori», spiega il politologo e professore all'Università di Losanna Oscar Mazzoleni a Tio/20 Minuti, elencando in primis la rilevanza che ha nella società il tema, nel senso di «preoccupazione nella vita quotidiana». Questa si forma sulla base della «percezione che passa attraverso i mezzi di informazione, ma anche dell’esperienza diretta delle persone». C'è poi un secondo fattore chiave: il fatto che su questo tema ci sia «un'attenzione politica specifica da parte dei partiti, del Governo, che in qualche modo intervengono su questo tema dandogli rilevanza».
La priorità è quindi il risultato di un insieme di aspetti: «Esperienza personale, attenzione mediatica e attenzione politica. Ma c’è anche una sorta di concorrenza tra i temi, tra i quali si stabilisce una certa gerarchia».
Nel 2019 ci si mobilitava, oggi...
Allargando il discorso, perché non ci si mobilita più come prima per il clima? «Bisogna tener conto che ci sono stati due anni di Covid che hanno avuto un effetto “demobilitante”. Nel frattempo il tema del clima ha subito una trasformazione sia a livello nazionale che internazionale. Nel 2019 il tema aveva conquistato una centralità indiscussa: l’urgenza climatica appariva come “IL problema” nella società e nelle campagne politiche. Negli ultimi anni le cose sono cambiate: i dibattiti e le votazioni hanno trasformato il tema in un problema controverso (“ma è così urgente? Come bisogna affrontarlo?”…). I partiti si sono divisi tra chi ritiene che si faccia già abbastanza, chi non vuole aumentino le tasse, e chi invece ritiene urgente agire. Così il tema è diventato, almeno in parte, un argomento che alimenta la classica divisione destra-sinistra».
Questo si ricollega alla “radicalizzazione” recente delle mobilitazioni sociali sul clima (incollarsi a terra, colpire i quadri...)? «Il cambiamento delle forme di mobilitazioni riflette il fatto che la politica da un lato si è riposizionata, dall'altro che non ha dato risposte ritenute adeguate alle domande di urgenza e di immediatezza. Mentre la politica, con le sue incertezze e le sue modalità, ha potuto deludere chi si è impegnato nelle mobilitazioni sul clima, queste hanno preso altre vie per tentare di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica».
Cambiano i temi, cambiano i consensi?
«Innanzitutto, bisogna dire che non c’è sempre un legame automatico tra tema e partito. È però anche vero che i Verdi sono conosciuti come un partito legato a temi ambientali, mentre l’UDC è legato al tema dell'immigrazione. In altri casi, ad esempio il PLR o il Centro, è meno facile individuare un singolo tema che li identifica».
Questa situazione giova quindi all'UDC? «Il fatto che l’UDC veda crescere il proprio consenso è probabilmente dovuto al fatto che altri temi sono emersi in questi anni. La neutralità, l’immigrazione, il tema economico dell’inflazione e altri temi hanno contribuito a mettere in un secondo piano la questione dell’urgenza climatica».
Però molto può ancora cambiare. «Quello che abbiamo osservato in passato è che il barometro delle preoccupazioni degli svizzeri dipende molto dagli avvenimenti e dagli imprevisti dell’attualità nazionale e internazionale. E non dimentichiamo che ci sono ancora oltre sette mesi prima alle elezioni federali».
«L'emergenza è qui, ma anche le soluzioni»
C'è preoccupazione da parte dei Verdi del Ticino? «Il fatto che si manifesti meno non significa che si sia meno preoccupati. Penso che questo calo dell’attenzione sia dovuto alle tre crisi, quella pandemica, quella dell’Ucraina e quella energetica, che si sono succedute a ritmo rapido e che hanno impensierito anch'esse le persone» ha detto la co-coordinatrice dei Verdi del Ticino, Samantha Bourgoin. «Quello che piuttosto mi preoccupa è che la popolazione, dopo tanti allarmi e preoccupazioni, si scoraggi, si rassegni. Questo sentimento è pericoloso perché in realtà non si è mai troppo piccoli per fare la differenza. Sono convinta che se le persone si rendessero conto che possono avere un ruolo e che le soluzioni ci sono, si attiverebbero».
Eppure ci sono l’inverno caldo, la siccità... ci stiamo forse un po’ abituando a questi eventi? «L’inverno meno freddo può anche fare piacere ai più. Ci permette di lasciare a casa le nostre giacche, le nostre sciarpe e i nostri guanti, ma quando il termometro, come la scorsa estate, sale per settimane oltre i 30°C e le notti tropicali non ci lasciano dormire, la percezione cambia molto in fretta. L’emergenza climatica non è in arrivo, è già qui. Dobbiamo quindi dotarci al più presto di misure che ci permettano di adeguarci a vivere con queste temperature (ad esempio l'utilizzo del verde pubblico)».
Ma c'è margine di manovra? «Le soluzioni per fermare questa pericolosa spirale climatica ci sono tutte. Quel che manca per il momento è la volontà politica per applicarle, anche perché le lobby contrarie a misure incisive nel nostro paese sono molto forti. Sono convinta che è solo questione di tempo affinché la maggioranza si renda veramente contro che i costi della prevenzione sono nettamente inferiori a quelli della riparazione dei danni», ha poi concluso Bourgoin, «l’emergenza climatica è anche un'occasione per formare nuove professioni in vista del futuro, cambiando il paradigma e iniettando fiducia nell'economia».