Il paese africano si stava dirigendo verso un'elezione democratica, che è messa ora in pericolo dall'esercito
Sono settimane, se non mesi, che c'è un escalation dei dissidi tra il Governo civile e quello militare
KHARTUM - Oggi è scoppiato il caos nel Sudan, territorio affacciato sul Mar Rosso, nel nord-est dell'Africa, vicino ad Egitto ed Etiopia.
Il Primo Ministro Abdallah Hamdok e altri membri del Consiglio di transizione che erano al potere sono infatti stati arrestati dall'esercito, con un vero e proprio Colpo di Stato messo in atto dai militari agli ordini del generale Abdel Fattah al-Burhan. Manifestazioni e scontri sono ben presto esplosi, con numerose persone scese in strada a protestare contro gli arresti, tra barricate, pneumatici in fiamme e diversi feriti. «Protestate con tutti i mezzi pacifici possibili» ha appellato anche l'ufficio dello stesso Hamdok, mentre sono giunte segnalazioni di spari - con proiettili veri - verso i manifestanti.
Ma facciamo ordine, chiarendo innanzitutto che non si tratta di un fulmine a ciel sereno, poiché sono diverse settimane - se non mesi - che il paese è segnato da scontri e tensioni tra i militari e il Governo civile.
Chi è al potere, in Sudan?
Dopo quasi tre decenni al potere, nell'aprile 2019 l'allora Presidente Omar al-Bashir è stato destituito, per poi essere accusato dalla Corte penale internazionale dell'Aja di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità per il conflitto nel Darfur, che ha portato alla morte di centinaia di migliaia di persone.
È quindi iniziata una transizione verso la democrazia, affidata all'economista Abdalla Hamdok, per traghettare il Paese verso un'elezione democratica prevista nel 2023.
Secondo un accordo trovato nell'agosto 2019, a condividere il potere con dei funzionari nominati dai principali gruppi politici civili ci sarebbero stati anche degli esponenti dell'esercito, tra cui il generale Burhan.
Un Governo spaccato in due
Con il passare del tempo, però, diversi funzionari civili si sono ripetutamente lamentati dell'eccessiva presenza dei militari, in particolare negli affari di politica estera del Paese.
Dall'altro lato dello spettro politico, i militari hanno accusato più volte i partiti civili di «monopolizzare il potere», e di gestire in malo modo il paese.
Il principale blocco di partiti civili, poi, si è a sua volta spezzato in due, con un gruppo di "ribelli" che ha formato una coalizione con le forze armate per tentare di sciogliere il Governo. Già a settembre, le autorità sudanesi avevano annunciato di aver sventato un tentato Colpo di stato.
La consegna di Bashir
Tra i punti di tensione tra civili e militari, come riporta l'agenzia stampa Reuters, c'è proprio la consegna dei sospetti accusati di crimini di guerra per il conflitto nel Darfur, ma non solo.
Un altro punto di contesta riguarda le uccisioni di alcuni manifestanti pro-democrazia il 3 giugno 2019, per le quali sono accusate le forze militari. Numerosi gruppi civili e di attivisti hanno denunciato più volte i ritardi inesplicabili nel pubblicare i risultati di un'indagine sul caso, accusando l'esercito. I civili hanno spinto anche per una ristrutturazione delle forze militari, opzione a cui i leader delle forze armate si sono sempre opposti.
La tensione è cresciuta in particolare settimana scorsa, quando decine di migliaia di sudanesi hanno sfilato per sostenere la transizione e la democrazia, contrastando un sit-in di alcuni rivali piazzatisi davanti al Palazzo presidenziale, a Khartum, per chiedere il ritorno di un Governo militare.
L'impatto economico
La crisi politica del Sudan è poi strettamente connessa con i problemi economici del Paese.
Secondo gli osservatori, un netto peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita, con frequenti carenze di pane e carburante, ha infatti pesato molto sulla caduta di Bashir, nel 2019.
In seguito, il Governo ha tentato di implementare delle riforme - monitorate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) - per ridurre il debito e trarre finanziamenti, ma l'inflazione è salita ai massimi storici, e molti sudanesi si lamentano da tempo di dover lottare per sopravvivere.