10 anni fa veniva compiuto il barbaro attentato contro la redazione del giornale francese
PARIGI - Il 7 gennaio 2015 i fratelli Saïd e Chérif Kouachi si resero protagonisti di uno dei più agghiaccianti attentati terroristici di questo primo quarto di secolo: quello contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Dodici persone persero la vita e altre undici rimasero ferite in un'azione rivendicata dalla branca di Al Qaida attiva nella Penisola arabica.
Sotto i colpi del mitra Ak-47 caddero il direttore Stéphane "Charb" Charbonnier; i vignettisti Georges Wolinski, Philippe Honoré, Bernard "Tignous" Verlhac e Jean "Cabu" Cabut; il curatore editoriale Mustapha Ourrad; la giornalista e psicanalista Elsa Cayat; l'economista e professore all'Università di Parigi Bernard Maris; Michel Renaud, fondatore del festival Rendez-vous du Carnet de voyage; Franck Brinsolaro, guardia del corpo di Charb; l'addetto alla manutenzione Frederic Boisseau; Ahmed Merabet, agente di polizia in servizio nel quartiere.
«Continua a perseguitarmi» - I segni dell'attentato hanno lasciato segni profondi anche tra chi, ferito, è sopravvissuto oppure ha superato indenne (almeno fisicamente) quel terribile giorno. «L'attacco contro "Charlie Hebdo" continua a perseguitarmi costantemente» ha ammesso Corinne "Coco" Rey nel corso di un'intervista a Le Monde. La disegnatrice fu presa in ostaggio dai terroristi e costretta a inserire il codice numerico che permise loro di entrare nella sede del giornale. Poco dopo l'inizio della carneficina riuscì a nascondersi sotto una scrivania ed ebbe salva la vita.
Coco è riuscita ad affrontare questo dramma «rifugiandosi nel disegno e nello spirito di corpo di una redazione fondamentalmente innamorata della libertà», si legge sul quotidiano francese. «Mi piace disegnare» spiega la 42enne. «Anche fuori dal lavoro disegno per il piacere di disegnare, come un hobby. Il disegno crea una bolla in cui mi sento bene». Per lei era (e lo è stato ancora di più negli ultimi dieci anni) «una fuga, una fuga da tanti mali».
Charlie non è morto - Charlie Hebdo, lo ricordiamo, fu preso di mira per le vignette e le battute su Maometto e l'Islam - che avevano già portato, nel dicembre 2011, alla distruzione della redazione causata dal lancio di bombe Molotov. «Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!» urlarono i terroristi uscendo dal luogo della strage. Invece no, «non hanno ucciso Charlie Hebdo», replica con forza Gerard Biard, l'attuale caporedattore della rivista - che sarà in edicola dal 7 gennaio, e per le successive due settimane, con un'edizione speciale di 32 pagine. Il messaggio? Proprio quello delle parole di Biard: "Non hanno ucciso Charlie Hebdo".
Ma la satira è ferita - L'attentato provocò un'ondata di solidarietà mondiale e diede vita all'iconico slogan "Je suis Charlie". Eppure quell'attentato ha lasciato delle conseguenze, tanto che il docente alla Sorbona e specialista in satira Laurent Bihl non esita a parlare di un «prima e dopo Charlie». Oggi «la paura è evidente», ha spiegato all'agenzia France Presse. «Non è più un inasprimento della legge che porta all'autocensura dei vignettisti. La pressione viene dalla vendetta paventata sui social network e dalla minaccia terroristica, non solo in Francia». Il caso emblematico è quello di Samuel Paty, docente di storia assassinato da un terrorista islamista. La sua "colpa"? Aver mostrato ai suoi studenti alcune caricature di Maometto pubblicate proprio da Charlie Hebdo.
Gli spazi per la satira e l'umorismo si sono progressivamente ridotti, in Francia e nel resto del mondo. Eppure, aggiunge Bihl, «la caricatura è un occhio sociale, il suo ruolo è combattere l’indifferenza. Chi si oppone alle caricature non capisce che la cultura della risata prevede di ridere insieme al prossimo e non di lui».
Una medicina chiamata umorismo - La satira e l'umorismo denunciano, come ebbe a dire Giovannino Guareschi nell'introduzione della "Italia provvisoria", «il male della retorica. La retorica che ama i luoghi comuni e le frasi fatte. La retorica aggravata dalla retorica dell'antiretorica». Il creatore di Don Camillo e Peppone (che fu uno straordinario umorista e guidò riviste di graffiante satira, sociale e politica, come "Bertoldo" e "Candido") aggiunse: «L'umorismo è il nemico dichiarato della retorica perché, mentre la retorica gonfia e impennacchia ogni vicenda, l'umorismo la sgonfia e la disadorna riducendola con una critica spietata all'osso».
Ieri come oggi (e forse in ogni epoca) è difficile fare dell'umorismo, e ancora di più della satira. Eppure sono necessari, come una medicina dal sapore magari sgradevole ma dal comprovato effetto curativo. Disse ancora Guareschi nel 1947, con parole che non sono invecchiate: «Umorismo vuol dire non soltanto critica, ma soprattutto autocritica. E l'autocritica è ragionamento freddo e tranquillo, mentre invece le masse vivono esclusivamente di "fede politica" (ma anche religiosa, ndr). E ciò è grave perché, rinunciando a fare della politica col ragionamento, ma insistendo a volerla fare con la fede che accetta il dogma e non ammette ragionamento, può accadere che i partiti di massa si trasformino in partiti di mandria».
«Paralizzati dal terrore» - «È triste notare che questa violenza ha lasciato parte della nostra società paralizzata dalla paura e dal terrore. E questo ci impedisce di andare avanti. Una società paralizzata non può progredire» ha dichiarato all'agenzia stampa AdnKronos Hassen Chalghoumi, già presidente della conferenza degli imam di Francia e convinto promotore del dialogo interreligioso. Lui stesso, per le sue condanne della strage del 7 gennaio 2015, è stato minacciato di morte moltissime volte. «Dobbiamo denunciare il ruolo dei discorsi vittimistici e conflittuali propagati da organizzazioni come il movimento dei Fratelli Musulmani e altre correnti dell'Islam politico. Queste ideologie hanno seminato odio nei cuori dei giovani nati in Europa, manipolandoli per attaccare i simboli della Repubblica e dell'Occidente. Ecco perché, dieci anni dopo, lo dico con forza: siamo tutti nella stessa lotta, per proteggere la nostra libertà, i nostri valori e la nostra umanità».