L'editore del giornale è finito nell'occhio del ciclone.
NEW YORK - I media americani non mollano la presa su Will Lewis, l'editore del "Washington Post" chiamato a novembre dal proprietario Jeff Bezos per ristrutturare la gloriosa testata del Watergate azzoppata dai debiti. Il "New York Times" ieri ha fatto le pulci alla condotta di Lewis quando, in veste di executive del gruppo di Rupert Murdoch, fu incaricato nel 2011 di ripulire News Corp dalle "mele marce" che avevano messo nei guai il tycoon australiano con lo scandalo delle intercettazioni illegali di celebrità e vittime di delitti.
Lewis all'epoca si presentò come una forza del bene che "aveva drenato la palude" di reporter e direttori senza scrupoli pronti a tutto pur di portare a casa lo scoop.
Diversa, a quanto scrive il "New York Times" sulla base di documenti riservati e interviste con persone coinvolte nell'indagine, la percezione di Scotland Yard che quasi fin dall'inizio dubitò delle intenzioni di News Corp e arrivò a vedere Lewis «non come un collaboratore ma come un impedimento».
La polizia sospettava che News Corp volesse indirizzare l'inchiesta su poche «mele marce» distogliendo l'attenzione della polizia dal resto delle redazioni e sui vertici di News Corp, ha detto al "New York Times" uno dei capi dell'inchiesta. Scotland Yard restò inoltre scioccata perchè la società di Murdoch cancellò milioni di mail interne nonostante l'ingiunzione di una vittima di intercettazioni e della stessa polizia a non farlo.
Le nuove rivelazioni complicano ulteriormente la posizione di Lewis, già barcollante dopo il ritiro la scorsa settimana del direttore in pectore Robert Winnett che l'editore aveva chiamato al posto della prima direttrice donna del "Washington Post", Sally Buzbee, dimissionaria all'inizio di giugno dopo uno screzio con l'editore proprio sullo scandalo delle intercettazioni.
La Buzbee avrebbe voluto fare il nome di Lewis riemerso in una serie di cause in Gran Bretagna, ma il Ceo le aveva chiesto di non farlo perché «non avrebbe fatto notizia».