Intensificati i controlli sui permessi di dimora dei cittadini russi e osteggiate anche le transazioni fiscali verso Mosca.
LUGANO - La Svizzera e il suo sistema bancario sono sotto la pressione sia degli Usa sia del G7 per aver congelato - a loro dire - solo una piccola quantità di beni russi. Un vero e proprio tesoro quest'ultimo, che ammonta a circa 150-200 miliardi di franchi, come ha reso noto il presidente dell'Associazione svizzera dei banchieri (ASB), Marcel Rohner.
Le parole dell'ambasciatore degli Stati Uniti a Berna, Scott Miller, che lo scorso marzo si era detto non soddisfatto della Segreteria di Stato dell'economia (Seco) in fatto di sanzioni, e la richiesta - rigettata da Berna - di aderire alla task force investigativa 'Russian Elites, Proxies and Oligarchs' (Repo), sono esempi concreti delle "interferenze" esercitate recentemente sul Sistema Paese.
Ora la notizia che arriva dalla Russia, rilanciata da media e agenzie stampa, non fa altro che confermare l'esistenza di un mondo sommerso, in fatto di relazioni finanziarie negate, che vanno oltre i 7,75 miliardi di franchi congelati da Berna.
«UBS - racconta al colosso dell'informazione di Mosca Ros Business Consulting (Rbc), George Voloshin, esperto di sanzioni - da marzo di quest'anno ha iniziato a chiedere ai russi che hanno conti aperti e depositi in banca, informazioni sulla loro cittadinanza o sul permesso di dimora in Svizzera», pena la chiusura del conto.
Stesso rischio anche per chi deve ancora pagare le tasse in Russia, perché proprietario d'immobili, per il fatto avere partecipazioni in una o più società, oppure perché si trova alle dipendenze di un datore di lavoro straniero. A finire sotto la lente d’ingrandimento delle banche confederate sarebbero, infatti da circa un mese, i trasferimenti fiscali dei loro clienti, anche se in possesso di un permesso di soggiorno o con doppio passaporto.
Ora, poiché non risulta nessun embargo verso il ministero delle Finanze russo e nemmeno un divieto esplicito da parte della Seco al pagamento delle tasse, quanto appena descritto appare un eccesso di zelo degli istituti, che conferma il clima di grande preoccupazione "subito" dalle banche, preoccupate della loro reputazione nell'intrattenere rapporti diretti con i partner finanziari di Mosca, anche là dove le sanzioni non centrano proprio.
Roman Kudinov, manager dello studio legale svizzero Leolex, sentito proprio da Rbs, fa riferimento esplicito a Ubs e Cs, che avrebbero preannunciato o addirittura effettuato la chiusura dei conti di alcuni clienti per i motivi appena descritti, giustificandola con il fatto che queste transazioni fiscali possono poi avere un ruolo nella destabilizzazione dell'Ucraina. Un'azione - quella degli istituti di credito verso i propri clienti - definita dallo stesso legale come al momento solo «selettiva e non massiccia».
Dunque le maglie del niet alla Russia sembrano allargarsi, più quanto già previsto dalle sanzioni agli oligarchi. Un "clima di terrore" che ha reso difficile anche alle imprese, siano esse svizzere o russe, la possibilità di continuare a lavorare insieme. E ne sanno qualcosa in questo senso anche gli operatori del commercio internazionale ticinesi. Un malcontento di cui però nessuno ha voglia di parlare.
Attualmente, secondo l'avvocato dello studio svizzero "Emery & Partners", Violette Emery Borzho, pagare le tasse in Russia, fare affari in Russia, avere la doppia cittadinanza svizzero-russa ed essere nell'elenco delle sanzioni internazionali, sono tutti elementi che possono portare alla chiusura del proprio conto. Insomma, anche i clienti russi con domicilio nella Confederazione possono incorrere in problemi, pur non essendo oligarchi vicini al regime. Dunque, oltre alle sanzioni, «alcune banche stanno aggiungendo regole interne ancora più rigide, per non avere più nulla a che fare con la Russia».
Gli studi legali promettono però battaglia: «Il nostro ufficio considera queste azioni illegali - avverte Roman Kudinov - e prevede azioni legali non appena i nostri clienti riceveranno notifiche scritte ufficiali». A questo riguardo il Tages-Anzeiger ha provato a contattare Cs e atri istituti confederati in proposito ma non ha ottenuto risposte.