Le temperature superficiali del Nord Atlantico crescono. Quali gli effetti sulle nostre regioni? Ne parliamo con Luca Nisi di MeteoSvizzera
Caldo e mare. È quel binomio che molti sognano per undici mesi all'anno, in attesa che arrivi il momento delle vacanze estive. Ma nell'interazione tra quelle due parole vi è anche una sorta di innesco capace di influire sulle condizioni climatiche. Si parla della temperatura, in forte aumento, della superficie delle acque marine. Quella del Nord Atlantico in particolare, che ha archiviato un mese di maggio "da primato". Ma quali sono, o possono essere, le conseguenze di questo riscaldamento? Lo abbiamo chiesto a Luca Nisi di MeteoSvizzera.
«Non esiste una relazione diretta analizzata con una sicurezza del 100%» su quelli che sono gli effetti sul tempo in Europa e, quindi, nelle nostre regioni. «Quello che sappiamo è che queste temperature superficiali elevate hanno effetto soprattutto sulla stagione estiva - sia per quanto riguarda le precipitazioni che le temperature in sé - e tendono a portare un clima, soprattutto nel Mediterraneo, molto siccitoso e caldo, quindi canicolare, durante l’estate».
«Cambiamento climatico? Sì, ma non solo»
Va detto, precisa Nisi, che stiamo parlando di situazioni potenziali. Detto altrimenti, di un aumento delle probabilità che determinati fenomeni possano avvenire. «Le temperature superficiali dei mari hanno un’influenza sì sulla meteorologia, ma a livello di clima. Parliamo quindi di tante situazioni interconnesse, che non hanno per forza una relazione "uno a uno" con la misura della temperatura in una data regione». Un altro aspetto interessante è che queste temperature particolarmente elevate della superficie marina «sono il risultato sia del riscaldamento globale che di oscillazioni naturali». E in quest'ottica, «ci sono diversi studiosi che hanno iniziato ad analizzare la siccità estesa e molto pronunciata del 2022, in Svizzera e non solo. E sembra proprio che il periodo siccitoso su queste regioni europee sia anche frutto di oscillazioni naturali su larga scala a livello di Atlantico».
«Quindi - puntualizza Nisi - non si tratta solo del cambiamento climatico. C’è il suo zampino, questo è chiaro», ma «il sistema è molto più complesso». Anche perché, va ricordato, la siccità è un fenomeno che «fa parte del clima europeo e della sua variabilità. In passato ci sono stati periodi di siccità ancora più pronunciati. Anche da noi. Però le temperature erano più basse. Ora quando arriva una fase siccitosa le temperature sono più elevate e quindi l’evapotraspirazione è ancora più pronunciata. Possiamo quindi dire che il cambiamento climatico va a peggiorarne gli effetti». E, guardando al futuro, «gli scenari climatici ci mostrano che le estati saranno più calde e siccitose su tutto il bacino Mediterraneo». Quindi anche alle nostre latitudini.
Tanto (a volte tantissimo) vapore, ma poca pioggia...
Una temperatura superficiale marina più elevata significa anche un'evaporazione maggiore d'acqua. Quindi più acqua nell'atmosfera. Non dovrebbe quindi piovere di più? Anche in questo caso, spiega Nisi, occorre distinguere tra il potenziale e ciò che invece si concretizza. «Il vapore acqueo è il principale elemento necessario per avere delle precipitazioni. Ma dobbiamo far sì che questo vapore acqueo sia nelle condizioni di poter condensare. Questa umidità deve riuscire a spostarsi verso l’alto nell’atmosfera, dove con una minore pressione la massa si può decomprimere e in questo modo raffreddarsi. Questi processi avvengono, ad esempio, quando una massa umida d’aria si scontra su una montagna, come nel caso delle precipitazioni di sbarramento intense che si verificano a sud delle Alpi. Quando l’aria umida del Mediterraneo viene forzata a salire, si raffredda e dà vita a precipitazioni o, in estate, a fenomeni di instabilità, come i temporali. Quindi, tornando al punto, è vero: una maggiore evaporazione porta ad avere una concentrazione più elevata di vapore acqueo nell’atmosfera, ma poi occorre avere le condizioni affinché possa innescarsi il processo. In caso contrario ci ritroviamo con un grande potenziale che, però, non viene utilizzato».
L'Europa, uno scenario complesso
La complessità che incornicia lo scenario europeo non consente quindi di tracciare un filo diretto assoluto, a differenza di quanto invece accade in alcune altre regioni del nostro pianeta. Ad esempio «le regioni dell’Atlantico in cui nascono le tempeste tropicali. Come l’Africa equatoriale occidentale; un terreno fertile per generare questi embrioni che, spostandosi sospinti dagli alisei, possono diventare uragani che vanno ad interessare il golfo del Messico e anche gli Stati Uniti d’America. Ecco, in questo caso l’effetto è chiaro. C’è una relazione diretta: più aumenta la temperatura, maggiore è la probabilità che vadano a svilupparsi degli uragani».
Per quanto riguarda invece l’Europa «è un po’ più difficile a dirsi. Sappiamo che, in certe condizioni, l’innalzamento delle temperature superficiali del Mediterraneo può far aumentare la frequenza dei cosiddetti medicane; molto diversi da quelli che si formano nel golfo del Messico». Ma «anche in questo caso stiamo parlando di una situazione potenziale: senza la discesa di aria polare questi non si formano». In generale quindi, «è complicato pronunciarsi sul tempo in Europa, perché questo è influenzato dalle correnti provenienti da ovest che causano una variabilità molto pronunciata. E affermare cosa un singolo fattore possa portare come conseguenza diretta è veramente difficile».