I Verdi del Ticino
Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo assistito a una mobilitazione senza precedenti per contrastare la pandemia di Coronavirus e le sue conseguenze su economia e società. In Ticino vi è stata pure la creazione di un gruppo strategico (quasi tutto al maschile) per studiare il rilancio del Paese. Pochi giorni fa questo gruppo ha presentato il suo piano di intervento, ricco di parole chiave quali: “innovazione”, “digitalizzazione”, “formazione”, “competizione”, “crescita economica” e condito qua e là con qualche buon principio di “responsabilità sociale e ambientale”. Niente da dire, constatiamo con piacere che vi siano tante risorse ed energie da mettere in campo per contrastare una crisi e cogliere l’occasione per trasformarla in opportunità. Già, perché di crisi ce n’è un’altra che pende sulle nostre teste da molto più tempo e con un peso molto più grande, una crisi che aspetta provvedimenti massicci e coraggiosi almeno quanto quelli presi per contrastare l’esserino microbico dal nome regale.
In questi giorni assistiamo inermi al letterale “arrostimento” della parte occidentale del continente nord-americano, provocato da un’ondata di calore senza precedenti, che sta causando la morte di centinaia di persone. Due anni fa divampavano i numerosi incendi che hanno ridotto in cenere circa 17 milioni di ettari di Australia, mentre in Svizzera soffrivamo le giornate canicolari che hanno fatto dell’estate 2019 la terza più calda dall’inizio delle misurazioni. Ora peniamo la mancanza delle dolci albicocche vallesane a causa delle gelate tardive (ma neanche troppo che tanto ci son quelle spagnole).
Il susseguirsi e l’intensificarsi di tali fenomeni è dovuto al cambiamento climatico in atto, cambiamento che dobbiamo contrastare seriamente se non vogliamo mettere a repentaglio la sopravvivenza della nostra specie e degli ecosistemi dai quali dipendiamo in tutto e per tutto. Per questo abbiamo siglato accordi internazionali e fissato impegni su lucenti pezzi di carta. Eppure, gli obiettivi generali di riduzione delle emissioni, fissati nel quadro dell’Accordo di Parigi, come pure quelli settoriali, vengono correntemente disattesi. È notizia recente che a livello svizzero, nel 2020 le emissioni da combustibili fossili sono rimaste praticamente allo stesso livello dell’anno precedente. Le strategie e i provvedimenti vengono costantemente rimandati: la revisione del Piano Energetico Cantonale, che dovrà fungere anche da piano climatico, perché secondo il Governo non è necessario prevederne uno ad hoc, dura da ormai svariati anni. Le richieste di un’attenzione maggiore alla problematica climatica sono completamente ignorate a favore di obiettivi non vincolanti. E mentre la nostra richiesta di dichiarare l’emergenza climatica, depositata il 19 giugno del 2019, non ha ancora ricevuto alcuna risposta, va in gran voga l’obiettivo “società al 100% rinnovabile”, ma come sarà raggiunto, entro quando e con quali obiettivi intermedi non si sa.
È tempo di darci seriamente da fare per adempiere ai nostri obblighi in materia climatica. Dobbiamo cogliere finalmente l’occasione di trasformare anche questa crisi in un’opportunità, costruendo una società e un’economia più resilienti, a basso impatto ambientale e basate su risorse locali. È tempo di tavoli di lavoro che inseriscano l’economia nel contesto sociale e ambientale e non più il contrario. È tempo di costruire un’economia che coinvolga la società in maniera più rappresentativa, perché abbiamo bisogno della creatività e del punto di vista di tutti e non solo di pochi. È tempo di mettere in campo tutte le risorse e l’attenzione che merita la crisi climatica, perché ne va del futuro del nostro Cantone e delle prossime generazioni.