Per 16 stagioni ha solcato il ghiaccio della NL. In aprile, a causa di una malformazione cardiaca, Mauro Jörg ha dovuto dire basta
«Non ho mai avuto problemi, ma in ottobre i medici si sono accorti che la situazione stava peggiorando. Adesso ho iniziato uno stage e sono alla scoperta di una nuova vita».
COIRA - Ogni professionista lo sa, un giorno arriva il momento di dire basta, guardare avanti e reinventarsi. Del tutto o almeno in parte. Per alcuni il passo è breve, magari dal ghiaccio passa alla transenna, per altri il cambiamento è più radicale. Tra chi di recente ha appeso i pattini al chiodo c'è il ticinese d'adozione Mauro Jörg, cresciuto nel Coira e lanciato tra i grandi dal Lugano. L’annuncio dell’attaccante è arrivato durante la festa di fine stagione del Friborgo e non è dovuto all’avanzare dell'età o alla mancanza di offerte, ma a una malformazione cardiaca con cui ha dovuto fare i conti.
«Non è stato un fulmine a ciel sereno, ma sapevo che questo momento poteva arriva. È un problema del quale ero a conoscenza ormai da 14 anni», spiega l’ex attaccante. «Si tratta di un’anomalia alla valvola aortica (valvola aortica bicuspide, ndr). Ogni estate, quando tutti rientravano dalle vacanze e procedevano con i test fisici di routine, io dovevo fare anche questi controlli. E la mia carriera poteva anche finire lì. È qualcosa a cui pensavo, ma per fortuna per anni è andato tutto bene».
Anche sul ghiaccio.
«Non ho mai avuto dolori né problemi di alcun genere, ma lo scorso anno, in ottobre, i medici si sono accorti che la situazione stava peggiorando. Ho parlato con tre specialisti e ho dovuto fare una scelta, anche perché l’hockey, con i check e le sue fasi di gioco ad alta intensità - cambi brevi, dove si spinge al massimo - è di fatto lo sport peggiore. Dove si passa da “zero a cento” in continuazione. A quel punto è stata una questione di testa e di cuore. Intesa come passione. Ho pensato anche di smettere a stagione in corso, ma poi ho finito il campionato insieme ai compagni fino alla semifinale dei playoff. Dopodiché sì, era arrivato davvero il momento di dire basta».
Con alle spalle 837 partite di National League tra Lugano, Davos, Rapperswil e Friborgo. Ciliegina sulla torta il titolo conquistato coi grigionesi di Del Curto nel 2015.
«Se ripenso alla mia carriera ne sono davvero orgoglioso e ho grandi ricordi di ogni squadra. Sono grato che sia andato tutto bene. Sedici stagioni durante le quali ho conosciuto delle splendide persone. Veri amici e ottimi compagni. Il campionato vinto col Davos resta il punto più alto, con conseguente qualificazione alla Champions League, che aveva un formato più “selettivo” rispetto alle ultime annata».
Il Ticino resta un posto speciale.
«Sicuramente. Sono arrivato a Lugano a 16 anni iniziando con gli Elite, ed è con i bianconeri che nel 2008 ho esordito nell’allora LNA da giovanissimo. Ho ancora tanti amici, anche se la maggior parte, come Kienzle e Ulmer, ormai non giocano più… (ride, ndr)».
Ora Mauro Jörg, 34 anni compiuti in primavera, ha iniziato un nuovo capitolo della sua vita.
«Proprio questa settimana ho cominciato uno stage presso una fiduciaria. Per il resto mi divido tra Coira e Zurigo, dove vive la mia ragazza. Potrò sempre rimanere attivo nel mondo dell’hockey dando una mano come allenatore, ma per adesso mi va bene starne un po’ fuori. Guardare com’è questa nuova vita. Diciamo pure “vera vita”. Alzarsi e andare al lavoro, ma non per allenarsi con la squadra o giocare davanti a 9’000 persone. Per un po’ di tempo non penso che frequenterò le piste, ma piuttosto seguirò le partite in tv».
Proprio il gruppo, nel bene e nel male tra vittorie e sconfitte, mancherà tanto.
«La preparazione, la vita in spogliatoio, l’adrenalina che sale prima delle partite: mancherà e non ci sono dubbi. Anche negli ultimi anni a Friborgo ci sono stati grandi momenti. Ho trovato davvero un bel team con i vari Dufner, Seiler, Schmid, Walser, Bertschy, Diaz e Berra. Tutti».
Eppure visto da fuori, come nel nostro caso dal Ticino, quello dei Dragoni non è mai sembrato un collettivo così unito.
«In realtà lo pensavo anch’io prima di conoscerlo e legarmi al Friborgo. Ma è un’impressione sbagliata. Forse il plurilinguismo intrinseco, più che in altre realtà, può far nascere questa idea, ma non è così. È un grande gruppo e li seguirò ancora con affetto».