A Lavena ogni quattro stranieri uno è cinese. I dati rivelano una migrazione accelerata negli ultimi due anni
Il paese invaso da parrucchieri, estetisti, manicure... e ristoranti asiatici. Il sindaco Mastromarino: «Sono tanti, ma la domanda - soprattutto dal Ticino - è alta. E non sono tutti cinesi, anzi la maggior parte sono italiani».
LAVENA PONTE TRESA - Da tempo le anguille non risalgono più la Tresa. Le storiche peschiere di Lavena, che a metà del 400 andavano a rimpinzare ventri e tavole dell’arcivescovado milanese, sono state sostituite nel corso dei secoli dai... fruttivendoli, in particolare quelli di origine calabrese. Ma anche questo genere di attività sembra appartenere ormai al passato e il cartello stradale all'entrata di “Lavena Ponte Tresa”, comune gemellato con la crotonese Mesoraca e le campane Lacedonia e Calitri, andrebbe pure aggiornato ad altri, decisamente più lontani, affratellamenti.
Un cinese ogni quattro stranieri - I numeri dell’Istat (Istituto nazionale di statistica) dicono infatti che la comunità, non italiana, ma straniera più numerosa a Lavena Ponte Tresa è quella proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese. Le cifre sono in parte ferme al 1. gennaio 2019, prepandemiche quindi, ma un giro per le strade del paese induce a credere che siano addirittura cresciute: i cinesi che vivono e lavorano a Lavena erano a quella data 120 (pari al 23,2% della comunità straniera, 518). A seguire tra i pontresini acquisiti troviamo i rumeni (14,3%), tallonati dagli svizzeri (8,1%). Negli ultimi due anni, però, la quota di stranieri residenti nel comune è cresciuta a 590 unità (dato al 1. gennaio 2021, che non fornisce tuttavia ancora la quota per paese di provenienza, anche se le cifre più aggiornate del 1. gennaio 2020 indicano che - con 548 - la percentuale di cinesi è ormai del 25.5%, contro il 13,7% di rumeni e il 7,8% di svizzeri). La tendenza appare quindi chiara in un comune che conta 5.831 anime (di cui il 10,1% stranieri e uno su quattro proveniente dalla Cina).
Le rotte della migrazione - La distanza tra Cina e Italia non sembra scoraggiare la migrazione. Tra la capitale economica cinese, Shanghai, e il comune di frontiera di Lavena ci sono grossomodo 9.000 chilometri (11.500 se un Marco Polo redivivo volesse percorrerne il tragitto per strade e sentieri). Assai più di quei seimila km dell’altra, più sorprendente, migrazione, quella delle anguille che dal Mar dei Sargassi fanno o facevano ritorno nelle acque dolci dei laghi prealpini.
Dai fichi d'India alle unghie - A Lavena Ponte Tresa la recente migrazione dall’oriente sta cambiando, sostengono alcuni, il volto commerciale del borgo. Sembrano aver fatto un passo indietro i fruttaroli calabresi. Non occupa più il visibile spazio-mercato d’angolo lo storico “Giardino della Frutta”, che si è trasferito armi e bagagli in una stradina poco distante. Ma il rimescolamento delle attività economiche negli ultimi due anni è stato generale. Non alludiamo tanto ai ristoranti cinesi o giapponesi, spesso con la formula del menu "All you can eat", quanto invece ai negozi d'estetisti e parrucchieri, a Lavena se ne trovano ad ogni angolo (non tutti, va detto, con insegna asiatica, segno che il rifacimento delle unghie ha preso piede trasversalmente). Qui la clientela, spesso anche ticinese, si reca volentieri per affinare artigli o messa in piega. A prezzi, va da sé, estremamente vantaggiosi.
Qualche malumore - Al di là di come la si voglia interpretare, rimane senza risposte l'interrogativo su cosa ci sia di tanto speciale a Lavena Ponte Tresa da giustificare questi numeri da piccola Chinatown lombarda (di cui peraltro a Varese - il dato al 1. gennaio 2020 dà al 5.16% la quota di residenti provenienti dalla Repubblica popolare cinese - e a Como - ancor più basso al 3.25% - non si trova gran traccia). Al di là delle spiegazioni, una migrazione tanto repentina non è da tutti ben vista: «Nulla contro i cinesi - ci racconta un negoziante -. Ma non è possibile che tra ristoranti e soprattutto tra parrucchieri e centri estetici ci siano una trentina e più di attività in stretta concorrenza tra loro. Il Comune dovrebbe porre dei limiti nell'accordare le licenze».
Il sindaco: «Più italiani che cinesi» - «Non si nasconde dietro un’unghia, il sindaco Massimo Mastromarino. Che a proposito dei centri estetici, rileva come «sono in realtà ripartiti tra italiani e cinesi». Ma più in generale, continua l’architetto, «sono sicuramente i servizi alla persona ad essere tanti. I parrucchieri per donna, per uomo; gli estetisti (non i centri estetici, che a Ponte non ce ne sono) e i manicure. Sono davvero tanti, ma c’è una domanda molto forte. Soprattutto dal Canton Ticino. Da un lato per la concorrenza economica, dall’altro per la qualità. La maggior parte dei parrucchieri ed estetisti è italiana con una forte tradizione e professionalità».
Libertà di impresa - Il lockdown ha azzoppato alcune attività economiche? «È ancora presto per dirlo. Le attività della ristorazione - afferma Mastromarino - hanno ripreso benissimo. Dobbiamo uscire dalla pandemia e lasciarci alle spalle questo periodo di disorientamento». A chi punta il dito contro il Comune che accorderebbe troppe licenze… la risposta è lapidaria: «In Italia, da quando c’è la legge Bersani, quindi dal 1998, il Comune non dà nessuna licenza. Le licenze sono libere da 23 anni. Chi sostiene questo deve aggiornarsi» replica Mastromarino.
«Una comunità ben inserita» - Quanto alla forte presenza di cinesi a Lavena, il sindaco fa ponte sulle cifre: «Come tutti i dati, vanno analizzati. Ma mi preme sottolineare che la comunità cinese è inserita bene, come è inserita bene quella rumena. Qui non abbiamo tensioni e nemmeno i problemi che ci sono magari nelle grandi città». Ma perché così tanti cinesi a Lavena? «Francamente, in due anni di pandemia, non mi pare sia questo il problema più importante né a livello economico né sociale» taglia corto il sindaco.