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LOCARNO«Neanche il WEF si fida più di noi, fermiamoci subito»

10.12.20 - 20:06
Franco Cavalli, medico di fama internazionale, sempre più critico verso le strategie anti Covid del Consiglio federale.
Ti-Press (archivio)
«Neanche il WEF si fida più di noi, fermiamoci subito»
Franco Cavalli, medico di fama internazionale, sempre più critico verso le strategie anti Covid del Consiglio federale.
«Finché la Svizzera ha 5.000 casi al giorno non si dovrebbe sciare – sostiene –. Stop anche a ristoranti e bar. Le perdite economiche? Abbiamo i soldi per aiutare ogni imprenditore, anche il più piccolo».

LOCARNO - «Nemmeno quelli del World Economic Forum (WEF) si fidano più di noi. Preferiscono andare a Singapore». Franco Cavalli, medico locarnese di fama internazionale, è un fiume in piena dopo le ultime misure ipotizzate dalle autorità cantonali e federali in merito all’emergenza Covid. E continua a insistere sul fatto che bisognerebbe fare ricorso alle riserve della Banca Nazionale. «Avremmo mille miliardi di franchi a disposizione e non li usiamo».

Dottor Cavalli, sembra che si vada verso una specie di secondo lockdown, stavolta nazionale. O forse no…
«C'è una confusione infinita. A questo punto mi sembra che i buoi siano ormai fuori dalla stalla. Le autorità dovevano chiudere due mesi fa. Non adesso. Durante le festività natalizie la gente si sarebbe fermata comunque. Ma il nostro è una sorta di liberalismo di origine tedesca, per cui lo Stato deve fare il meno possibile. Qualcuno sotto sotto pensa sicuramente che in fondo tutti questi vecchietti indeboliti li possiamo anche lasciare morire e che non vale la pena fare tanti sforzi economici per proteggerli».

Dunque, in attesa del vaccino, che dovrebbe arrivare a gennaio, che si fa?
«Si può ancora agire, anche se siamo in ritardo. La prima cosa da fare adesso è chiudere bar, ristoranti, centri fitness e quant’altro. Subito. Basta temporeggiare. Stessa cosa per le stazioni sciistiche. Tutti sanno che nelle funivie la gente in ogni caso si ammassa, col fiato grosso. Semplicemente finché la Svizzera ha quasi 5.000 casi al giorno non si dovrebbe sciare». 

Parliamo di economia. Ci sono persone e famiglie che rischiano di andare in fallimento. C’è un dramma umano dietro.
«Lo capisco. Ed è giusto che questa gente venga aiutata. La Confederazione ha il denaro per sostenere tutti in un momento d’emergenza. Quando UBS stava fallendo, in una notte il Consiglio Federale ha trovato i soldi per salvarla, garantiti dalla Banca Nazionale». 

Cosa avrebbe potuto fare il Consiglio federale?
«Si fosse rivolto alla Banca Nazionale anche per una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo, non penso avrebbe ricevuto una risposta negativa. Si tratta di soldi che solitamente servono come sostegno del franco svizzero, per combattere l’inflazione o per dare stabilità al sistema economico del Paese. Forse non ci sarebbe neanche stato bisogno di fare questo passo, perché il debito svizzero è un debito molto basso. Se dovesse aumentare di 100 miliardi, coi tassi attuali, non se ne accorgerebbe nessuno».

Parliamoci chiaro: i piccoli commercianti ed esercenti hanno paura. E vedono, comprensibilmente, queste vicende come qualcosa che in ogni caso non li riguarda.
«Anche questo è comprensibile. A Berna di recente il Parlamento non ha accettato l'idea di pagare una parte degli affitti dei piccoli. Non si vuole rischiare di sostenere anche quelli che di base sono già in una situazione precaria, il nostro social darwinismo è impressionante».

Così si tende ad aiutare sempre e solo chi sta già abbastanza bene… 
«È uno dei principi della nostra economia. I ricchi, con questa pandemia, sono diventati ancora più ricchi, il capitalismo finanziario non ha mai avuto a disposizione così tanti mezzi per giocare in borsa come nell’anno del Covid-19. I grandi stanno talmente bene che se ne fregano. A nessuno sembra interessare del piccolo commerciante di Lugano o di Bellinzona. La nostra politica economica andrebbe rivista, è evidente».  

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