Aurelio Sargenti, consigliere comunale PS, Lugano
LUGANO - Cosa aggiungere ancora, a quanto detto molto bene da molti (Pedroni, Sofia, Pusterla, Züblin …), sulla demolizione della parte non protetta, ma abitata con fantasia e con fruttuose proposte culturali alternative, da esponenti del Centro Sociale Autogestito il Mulino (CSOA) ?
Che essa è la inevitabile conseguenza di un «modo razionalmente irrazionale di procedere e anche un inquietante prolungamento di quella logica emergenziale e poliziesca che la pandemia ha favorito» (Pedroni in «LaRegione», 4 giugno). Potremmo fermarci qui. O solo aggiungere che il «neocostituito Sotto-Municipio» con la sua decisione scellerata ha finto di ignorare o non ha voluto capire (per pigrizia?) che cosa sia l’autogestione, che cosa vogliano dire vent’anni di presenza in città di un simbolo come il Macello, arrivato prima di altre importanti realtà culturali che hanno “solo” il vantaggio di essere realtà culturali “normali” agli occhi di chi governa la nostra città.
Per chi non l’avesse ancora compreso, l’autogestione è un fenomeno sociale, cioè vivo nella società, anche se marginale. Non è eliminando i mattoni, dove ha luogo la vitalità sociale, che si elimina una richiesta della società. La distruzione di monumenti e simboli è soltanto una distruzione fisica perché il loro contenuto rimarrà e sarà più forte e più potente.
Ce lo dimostrano le continue manifestazioni di solidarietà espresse in questi giorni da istituzioni culturali, da donne e uomini e di cultura, da semplici cittadine e cittadini che hanno a cuore la loro città e che vorrebbero tanto che anche Lugano potesse essere finalmente una città come tante altre, che sanno vivere tutte le espressioni culturali, anche quelle non istituzionali.
Solidarietà quindi non tanto, o non solo, con gli sfrattati, che qualche illecito l’hanno pure commesso, ma con ciò che il CSOA oggi rappresenta. Anche la ventilata proposta del Municipio di spostare il CSOA in un luogo lontano dalla città (nell'ex depuratore di Cadro), «così possono fare ciò che vogliono senza disturbare la quiete pubblica», è una ulteriore prova dell’incomprensione di cosa sia l’Autogestione da parte del ‘neocostituito Sotto-Municipio’, che di fatto chiude ogni possibilità di dialogo serio. Possiamo solo sperare nel ritorno del pascaliano «spirito di finezza», accennato in sottotraccia da Pedroni, cioè della capacità da parte degli onorevoli municipali di valutare le situazioni concrete (che non possono limitarsi al rispetto dell’ordine pubblico) e di cercare di conoscere, se non proprio i moti dell’anima dei “Molinari”, almeno i principi che governano l’autogestione.