La palla passa al Consiglio nazionale.
BERNA - Il Consiglio degli Stati ha approvato oggi, con 29 voti contro 6 e 7 astenuti, le garanzie finanziarie della Confederazione, pari a 109 miliardi di franchi, per l'acquisizione di Credit Suisse (CS) da parte di UBS. Il dossier passa ora al Consiglio nazionale, che si riunirà tra poco (con seduta "open end").
Durante le discussioni, molti "senatori" hanno lodato le autorità per aver agito a tempo di record. Non sono però mancate le critiche a Credit Suisse, e in particolare ai suoi dirigenti. Molte questioni rimangono inoltre aperte, in particolare sulle norme relative al "too big to fail".
Un passo necessario - In apertura di seduta, la relatrice della Commissione delle finanze (CdF) Johanna Gapany (PLR/FR) ha ricordato il carattere straordinario di questa sessione. «Ci troviamo in una situazione che dal 2008 il Parlamento ha voluto evitare, in particolare con le regolamentazioni dette 'too big to fail'».
Per Gapany il salvataggio di Credit Suisse era un passo necessario: in caso di fallimento della banca le ripercussioni per l'economia svizzera sarebbero ammontate, nella migliore delle ipotesi, a 146 miliardi di franchi. Molte PMI dipendono dal Credit Suisse: il 20% dell'economia sarebbe stata colpita, ha aggiunto da parte sua Olivier Français (PLR/VD).
Sottolineando come Credit Suisse abbia commesso gravi errori e corso rischi insostenibili, il vodese ha detto che il Consiglio federale ha fatto bene a ricorre al diritto d'urgenza. «Con il diritto ordinario - ha spiegato - non sarebbe stato possibile salvare il CS». La consigliera federale Karin Keller-Sutter e i suoi collaboratori hanno fatto un ottimo lavoro, ha aggiunto Benedikt Würth (Centro/SG).
Adèle Thorens (Verdi/VS) ha da parte sua evocato la lunga lista degli scandali che hanno coinvolto Credit Suisse. Per l'ecologista «quello che deve sorprendere non è la crisi di CS, ma il fatto che c'erano ancora persone disposte a concedere fiducia a una banca dove l'incompetenza e l'assenza di scrupoli erano alla luce del giorno». In questo contesto il sostegno della Confederazione è una aberrazione morale e un distorsione del liberalismo.
Marco Chiesa (UDC/TI) ha criticato i manager del CS che, incassando bonus sempre più giganteschi, hanno voluto allargare il loro raggio d'azione «perdendo così l'anima svizzera» della banca. In questo modo «il CS ha letteralmente perso il suo credito presso gli investitori e con esso anche la sua credibilità».
Alcuni "senatori" si sono poi detti preoccupati dalla dimensione della nuova UBS. Per Hansjörg Knecht (UDC/AG) questa rappresenta un enorme rischio per la Svizzera. La manovra ha generato un «mostro bancario», ha detto Carlo Sommaruga (PS/GE). Per Olivier Français andrebbe studiata l'eventualità di separare le attività svizzere del Credit Suisse.
Poco margine di manovra - Illustrando le scelte che oggi il Parlamento è chiamato a prendere, la relatrice commissionale Gapany ha poi spiegato che qualsiasi decisione venga presa, le garanzie finanziarie della Confederazione di 109 miliardi di franchi saranno in ogni caso erogate.
Il Consiglio federale, dopo aver avuto il via libera della Delegazione delle finanze del Parlamento, ha infatti preso, in accordo con l'Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e la Banca nazionale (BNS), degli impegni «giuridicamente vincolanti», ha ricordato la relatrice della CdF. Il margine di manovra del Parlamento è insomma limitato alle condizioni che la Confederazione può esigere dalle due banche.
A tal proposito, i "senatori" hanno deciso senza voti contrari che la Segreteria generale del Dipartimento delle finanze dovrà esaminare «in maniera approfondita le possibilità di azione in materia di responsabilità contro le istanze dirigenti di Credit Suisse». Con 28 voti contro 14 la Camera ha inoltre stabilito che eventuali garanzie supplementari non potranno essere concesse tramite procedura urgente.
Gli ex dirigenti di Credit Suisse devono rispondere delle loro azioni, ha sostenuto Olivier Français. «Dovrebbero restituire i bonus ricevuti e non dovrebbero riceverne altri», ha aggiunto.
Più in generale, la «non scelta» lasciata al Parlamento è stata fortemente criticata da Hansjörg Knecht (UDC/AG). «Non è accettabile che Consiglio nazionale e degli Stati possano solo approvare i crediti; in futuro il Parlamento dovrà avere maggiore voce in capitolo», ha sostenuto.
Aggiornare il "too big to fail" - Ciò passa per la modifica delle disposizioni "too big to fail", hanno affermato vari oratori. Non c'è però unanimità sulla velocità con la quale adottare le riforme. Per la sinistra e l'UDC vanno fatte rapidamente: «Il Consiglio federale deve fare una prima analisi entro l'estate», ha sostenuto Jakob Stark (UDC/TG). Secondo Adèle Thorens è chiaro che le misure prese dopo il dissesto di UBS nel 2008 sono risultate, alla luce dei fatti, «chiaramente insufficienti».
Una visione, questa, condivisa da Marco Chiesa, che non ha esitato a parlare di «corresponsabilità dei politici». Per il ticinese ora l'esecutivo deve fare in modo che non ci siano più aziende "too big to fail": un'impresa deve poter fallire senza trascinare la Svizzera o il mondo intero nel baratro, ha sostenuto.
«Bisogna mantenere il sangue freddo», ha replicato Olivier Français. Per Thomas Hefti (PLR/GL) non si deve cadere in una frenesia legislativa: «La colpa della crisi non è dei politici, ma di Credit Suisse», ha sottolineato. Da parte sua, Benedikt Würth si è chiesto quale margine di manovra abbia la Svizzera, dato che le regolamentazioni del settore bancario dipendono anche dalle disposizioni prese a livello internazionale.
259 miliardi - Concretamente, oggi gli Stati - e poi il Nazionale - erano chiamati ad esprimersi su due crediti. Il primo riguarda una garanzia sul rischio di insolvenza di 100 miliardi che la Confederazione metterà a disposizione della BNS. Questo mutuo disporrà di un privilegio in caso di fallimento del Credit Suisse. Ciò significa che il suo rimborso avrà la precedenza sulle pretese di altri creditori (ad eccezione di salari, oneri sociali e alcuni altri impegni privilegiati).
L'altro credito riguarda UBS: Berna fornisce una garanzia a UBS per eventuali perdite derivanti dalla vendita degli attivi del Credit Suisse pari a 9 miliardi. Questa garanzia verrebbe applicata solo se le perdite per UBS sarebbero superiori a 5 miliardi.
Al voto, la sinistra ha bocciato, invano, la concessione dei crediti. Carlo Sommaruga ha denunciato il fatto che le condizioni poste per il salvataggio non contengono alcuna garanzia a favore del personale. Il socialista ha anche denunciato la svendita di Credit Suisse a UBS: «Una privatizzazione degli utili e una socializzazione delle perdite».
Da parte sua Thomas Minder (SH/indipendente) ha chiesto la stralcio della garanzia di 9 miliardi per UBS. Per lo sciaffusano, che ha ricordato come lo scorso anno l'istituto abbia realizzato utili per 7,6 miliardi di dollari, la banca può benissimo assorbire da sola eventuali perdite. Con 29 voti contro 6 e 7 astenuti, la maggioranza dei "senatori" non ha però voluto seguirlo.
Da notare infine che alle due garanzie concesse oggi vanno aggiunti l'assistenza straordinaria di liquidità (ELA) di 50 miliardi di franchi richiesta da Credit Suisse alla BNS già il 15 marzo e il sostegno aggiuntivo di liquidità (denominato ELA+) di 100 miliardi liberati il 19 marzo. Questi aiuti non sono garantiti dalla Confederazione, e quindi non sono soggetti ad approvazione da parte del Parlamento.
In totale, la Confederazione e la BNS sono quindi esposte per complessivi 259 miliardi.