Il Comitato contrario all’estensione degli orari di apertura dei negozi ha lanciato oggi la campagna in vista della votazione di giugno
BELLINZONA - «La domenica non si vende». È questo lo slogan con cui il neo costituito Comitato contrario alla prevista estensione del lavoro domenicale e festivo nel settore del commercio al dettaglio lancia oggi ufficialmente - in una conferenza stampa svoltasi alla Casa del Popolo di Bellinzona - la propria campagna in vista della votazione popolare del prossimo diciotto giugno.
Nello specifico il comitato critica la scelta «frettolosa» del Parlamento che non ha valutato «gli effetti concreti» che questa legge avrebbe sia sul personale sia sulla società. Per i contrari, infatti, la nuova legge sulle aperture dei negozi rappresenterebbe un grimaldello per arrivare a delle aperture generalizzate. «Non vogliamo una società in cui si lavora, si produce e si consuma sette giorni su sette per 365 giorni all’anno», ha esordito Chiara Landi di UNIA.
«Il diritto al riposo e al tempo familiare è sacro»
Per la sindacalista, infatti, «il sacrosanto diritto al tempo di riposo e al tempo familiare» non va sacrificato sull’altare del consumismo. «La legge entrata in vigore nel 2020 grazie anche alla ingannatrice retorica dei “soli 30 minuti in più” ha già di fatto liberalizzato le aperture dei commerci», attacca Landi ricordando che da tre anni a questa parte i negozi possono tenere aperto fino alle 19, oltre che tre domeniche l’anno e tutti i giorni festivi non parificati alla domenica. Per di più tutti i commerci con superfici fino ai 200 metri quadri nelle zone turistiche «ovvero due terzi del Cantone» possono aprire sette giorni su sette.
L’unico vincitore? La grande distribuzione
Per Landi, che più volte durante la conferenza si è chiesta retoricamente «se davvero tutto questo non basti» ha poi puntato il dito contro la grande distribuzione. L’unica che ci guadagnerebbe veramente da questa modifica di legge. «Chi ha bisogno di queste aperture dilatate?», si chiede la sindacalista. «Non certo i consumatori, né il personale di vendita e neppure i piccoli commercianti. Non lasciamoci sedurre dai falsi miti del progresso», conclude Landi, ricordando come la modernità debba fare rima con sostenibilità. «Ovvero salari dignitosi, orari ragionevoli, equilibrio tra vita professionale e privata. Perché non vogliamo diventare una società Amazon aperta 24 ore dove non c’è spazio per le persone e le loro vite».
«Per una mamma un’ora in più la sera conta»
Una riflessione condivisa naturalmente anche da Benedetta Rigotti dell’OCST che ricorda come il 70% del personale che lavora nei commerci è rappresentato da donne. «E per una mamma aggiungere un’ora serale - sottolinea - non è una cosa da poco. Così come lavorare una domenica in più». Anche l’aumento dei posti di lavoro è per la sindacalista dell’OCST «una mera speculazione». «Per assumere più gente - precisa - bisogna aumentare il fatturato. E per far questo bisogna vendere di più. Ma le vendite, alla fine, dipendono maggiormente dai salari dei clienti. E aprire una domenica in più non farà magicamente apparire delle banconote nei borsellini dei ticinesi. Soprattutto di quelli che hanno difficoltà finanziarie».
La sinistra unità a fianco dei sindacati
Accanto ai sindacati si schierano Partito socialista e Verdi che questa modifica di legge l’avevano già combattuta in Parlamento. Entrambi i partiti - insieme pure al POP - sosterranno in maniera attiva la campagna. «In definitiva - precisa Igor Cima per il PS - questa legge provocherà solo un maggior precariato e un peggioramento delle condizioni di lavoro. A esclusivo vantaggio delle grandi catene di distribuzione». Della stessa opinione è Marco Noi dei Verdi. «Anche noi abbiamo lottato in Gran Consiglio per bocciare questa revisione. Apparentemente sembra una piccola concessione, ma rientra nella tattica del salame. E sul lungo periodo non è sostenibile continuare a erodere il tempo libero ai lavoratori e ai consumatori». Gianfranco Cavalli del POP si ricollega invece al discorso delle difficoltà finanziarie e dei salari «da fame». «Come vogliamo spendere soldi che non abbiamo?», si chiede retoricamente. «Potrebbero anche obbligarci a vivere nei negozi ma se nel nostro Cantone abbiamo un tasso di povertà di quasi il 15% come è possibile pensare che i ticinesi spendano di più in futilità».
* Il comitato è composto da: Unia, OCST, SEV, SIC, SIT, SSM, Syndicom, USS, VPOD, PS, Forum Alternativo, POP, Verdi, MPS, Coordinamento donne della sinistra, Movimento AvaEva, Sciopero per il clima.
La legge e il referendum - La legge per concedere maggiore flessibilità alle aperture dei negozi - soprattutto per quanto riguarda le domeniche e i giorni festivi infrasettimanali - era stata approvata lo scorso 18 ottobre dal Gran Consiglio. Contro questa decisione i sindacati UNIA e OCST (con il sostegno del Partito socialista) avevano però deciso di lanciare un referendum che in poco più di due mesi aveva raccolto 7’618 firme valide, mandando - di fatto - tutti alle urne.